Nel lavoro di Anna Bassi il filo diventa il mezzo che conduce attraverso le sue opere: lavori davanti ai quali non si può rimanere semplici osservatori perché la sua ricerca, artistica ed umana, finisce con il coinvolgerci e renderci partecipi di un viaggio che attinge la sostanza delle cose – ciò che siamo e ciò che sentiamo – restituendoci nuove letture delle istanze del quotidiano.
L’ho intervistata sottraendole un po’ di tempo tra un workshop, un seminario e il nuovo progetto espositivo a cui sta lavorando, per farmi raccontare di lei, della sua ricerca e delle sue opere.
Io: Provieni da studi di grafica d’arte. Quando è nato l’amore per il filo e le tecniche di tessitura?
AB: Durante l’ultimo anno di grafica d’arte ho iniziato a sperimentare contaminazioni creative tra il filo e le stampe d’arte. Poi ho iniziato a cucire alcune sculture morbide (ossia…pupazzi artistici!). La mia parte bambina sentiva il bisogno di morbidezza, di qualcosa di consolante da abbracciare, c’era una forte valenza terapeutica. Ho creato giocattoli da adulta per tappare buchi dell’infanzia. Col tempo ho approfondito diverse tecniche tessili, frequentando brevi corsi di arazzo contemporaneo, filatura, tessitura a telaio, feltro, sartoria, macramè, shibori e tecniche di tintura con colori vegetali.
Però credo che sia sempre esistita questa predilezione. Il ragno è il mio animale per eccellenza, ne ho subìto il fascino fin da bambina: è lui il sacro depositario dei segreti del filo.
Io: L’uso del filo è, per te, solo una tecnica, un medium, oppure assume altri significati diventando latore in sé di messaggi e contenuti?
AB: Alcuni ricercatori hanno scoperto nella caverna di Dzudzuana alcuni frammenti del primo tessuto filato della storia: un invisibile particella di lino risalente a 35.000 anni fa, visibile solo al microscopio. Filato alla perfezione. Mi emoziono ogni volta che ci penso. Le nostre antenate (parlo al femminile perché si stima che la filatura fosse appannaggio solo delle donne, la tessitura anche degli uomini) già sapevano padroneggiare quest’arte di cui non ci è rimasta che polvere. Abbiamo un’Era del ferro e una del bronzo, ma nessuna “Era dei tessuti” semplicemente perché dal passato ci sono giunti pochissimi reperti. Ma non dimentichiamo che l’essere umano è riuscito a progredire a qualunque latitudine perché poteva scaldarsi con indumenti: ciascuno di noi durante il giorno si ripara dal freddo ed esibisce la sua identità sociale grazie ai vestiti, e di notte riposa tra lenzuola e coperte. Le antichissime tecniche di filatura e tessitura, che oggi (perlomeno nel mondo occidentale) non fanno più parte delle attività domestiche ordinarie, hanno rappresentato la quotidianità per milioni di donne. Come dice Francesca Rigotti nel suo libro “Il Filo del pensiero”, da un lato ci siamo liberate di una schiavitù, dall’altro abbiamo perso un’occasione per poter esprimere la nostra creatività. Però, da qualche parte nel nostro inconscio collettivo, deve essersi depositata la memoria di queste pratiche non più ordinarie… il linguaggio conserva numerose espressioni a tal riguardo, che acquistano una bellezza incredibile solo quando si conosce effettivamente la tecnica tessile in questione. “Trovare il bandolo della matassa” in un gomitolo aggrovigliato comporta una discreta pazienza, non è solo un modo di dire quando ci si imbatte in situazioni complicate! Continuo a studiare e fare ricerche sulla storia e simbologia di fili e tessuti, che per me diventano inscindibili dalla pratica artistica. Ogni volta che maneggio un pezzo di stoffa è come se percepissi l’intero capitolo della tessitura, fin dalla sua creazione dalla notte dei tempi. E avverto la responsabilità di raccontare la sua storia.

Io: Parte della tua ricerca artistica e del tuo lavoro ruota intorno all’universo femminile. Come nasce questo interesse e quanto conta il tuo essere donna nei temi che affronti nelle tue opere?
AB: Anni fa fui incuriosita dal testo “La Grande Madre” di Erich Neumann, allievo di Jung: uno studio enorme sulle figurazioni archetipiche femminili. Divenne il testo fondamentale della mia prima tesi. Da lì ho iniziato a leggere libri legati ai simboli e alla sacralità del femminile, tra cui “Il linguaggio della Dea” dell’archeomitologa Maria Gimbutas e “Donne Sciamane” di Morena Luciani Russo, artista rituale e antropologa con la quale ho seguito numerosi seminari esperienziali. Da lì ho scoperto tutti i simboli arcaici legati ad un femminile sacro: vulve, uteri, spirali, Chevron, e la Grande Dea nelle sue infinite manifestazioni di Datrice di vita e di morte.

Probabilmente se fossi un uomo non tratterei di mestruazioni e vulve nelle mie opere, ma credo che sia semplicemente il mio linguaggio per relazionarsi con il sacro. Generare la vita è un atto divino, per cui celebrare la vagina come portale di passaggio tra Cielo e Terra mi sembra molto naturale, anche se non viene considerato tale da diversi millenni. Tra le opere di questo filone la più completa è “Che tu possa rinascere” (immagini 1,2,3, dedicata a Morena Luciani Russo, la considero la mia prima maestra). Si tratta di un grande tappeto cucito a mano con due serpenti rossi (simili a flussi di sangue mestruale) che nascono dalla vagina di una donna stilizzata. Il tappeto, esposto al castello di Belgioioso, diventava il recinto sacro di una performance durante la quale regalavo piccole vulve di carta recitando un augurio di rinascita.

Io: Fiber artist, performer, arteterapeuta, docente: come convivono le tue diverse anime?
Ciascuna alimenta e arricchisce l’altra. Una delle mie prime performance (“Il filo di Atropo”, realizzata insieme all’artista e amica Marinò) si interrogava sulla condizione umana che è in balìa del destino. Letteralmente “appesa ad un filo”. Il filo era reale, perché srotolavo un gomitolo gigante con cui legavo tra loro i partecipanti (immagine 4). Se all’inizio le performance trattavano implicazioni legate al linguaggio e al simbolismo del filo, successivamente hanno acquisto una maggiore valenza rituale. Nella contemporaneità abbiamo un po’ perduto il senso del rito, ci tengo a creare dei piccoli spazi dove cadono le barriere del mondo ordinario per incontrare sé stessi. L’atto performativo va a rafforzare le opere, che diventano vive grazie alla relazione che si instaura col pubblico. Per certi aspetti l’opera è un oggetto relazionale, un ponte tra il messaggio che voglio dare e lo spettatore. L’atto terapeutico e l’insegnamento, poi, li trovo sempre impliciti in ogni opera d’arte.
Inoltre nella quotidianità faccio tre lavori diversi…le varie anime si aiutano tra di loro anche per campare! Prima questa frammentazione mi spaventava, ora la vedo come un’opportunità per rinnovarmi continuamente.
Lavoro anche per La Bottega della Luna, l’unico negozio in Italia specializzato sulle mestruazioni. Vendo assorbenti compostabili e lavabili, coppette mestruali e altro. Collaboro nell’organizzazione degli eventi, scrivo articoli, creo immagini, faccio laboratori di arteterapia mestruale. Sono onorata di lavorare con loro: il fatto che esista un negozio così secondo me è il segnale di un importantissimo cambiamento culturale. Sono riuscita a rivendicare l’importanza delle mestruazioni e del femminile non solo nella mia produzione artistica, ma anche nel lavoro che faccio quotidianamente. Tutto in qualche modo si integra.

Io: Dall’ispirazione alla realizzazione, come prendono forma le tue opere?
AB: Dipende, se si tratta di piccoli lavori riesco a concretizzare in breve tempo ciò che nasce dall’ispirazione. Il lavoro “di getto” ha una freschezza e un’immediatezza particolare. Per lavori di dimensioni più consistenti naturalmente i tempi si dilatano e si ha modo di ragionare in corso d’opera su come proseguire e quali modifiche apportare. Mi piace che ci sia una lentezza temporale intrinseca nelle opere tessili, permette di entrare molto profondamente nel lavoro.

Io: In alcuni lavori o progetti, come ad esempio “Ricamare lacrime amare”, quanto del significato dell’opera è affidato alle parole?
AB: Molto. Testo e tessuto hanno la stessa radice etimologica: ricamare le parole che scrivo significa dar loro corpo. Se il tessuto in fondo è una seconda pelle, ricamare parole significa inciderle nella carne. In particolare il progetto “Ricamare lacrime amare” (immagine 5), una raccolta di poesie autografe ricamate, è nato come atto terapeutico dopo una storia d’amore conclusa: affidarsi alla lentezza temporale del ricamo mi ha aiutata a elaborare il dolore. Mi piace pensare che una poesia ricamata diventi un fazzoletto con cui asciugarsi le lacrime: con un foglio di carta non sarebbe possibile

Io: C’è un progetto o un’opera in cui maggiormente ti riconosci?
AB: Le mie sculture morbide. Cinque anni fa feci un sogno molto potente: ero al mare, le acque fredde e scure mi attiravano in modo pericoloso. Ero sul punto di affogare, ma all’improvviso una voce mi chiamò a sé e iniziai a volare nel cielo, dipinto di un tramonto dai colori di fuoco. Mi turbò molto quel sogno, e decisi di dare una forma concreta a quelle acque nere e gelide. Da lì è nato il “Cacodemone”: un pupazzo nero con un occhio solo, la bocca rossa piena di dentini. Ne ho cuciti e dipinti molti altri in seguito, e al cacodemone originale si sono aggiunte alcune rielaborazioni nei toni del rosso, talvolta con scritte. È un work in progress, ne voglio cucire tantissimi (immagine 6). Cosa rappresenta questo cacodemone, che letteralmente significa “demone cattivo” (anche se di fatto suscita simpatia, non cattiveria)? Rappresenta le mie emozioni inespresse, una bocca muta con un grido senza voce. Ci ho messo anni a capirlo (immagine 7).

7. “Nei tuoi abissi troverai l’oro”, tecnica mista, dimensioni 40×40 cm, 2017
Io: Tessuto, ricamo, intreccio, origami: utilizzi molteplici tecniche e materiali molto diversi. Quanto sperimenti prima di trovare l’alchimia perfetta?
AB: Abbastanza, sperimentare è importante per comprendere l’anima del materiale e le sue possibilità espressive. Naturalmente più si sperimenta e conosce, maggiore diventa il lessico espressivo. Spesso il criterio primario di scelta è la funzionalità: per esempio nell’opera “Che tu possa rinascere” (immagine 8), un arazzo site specific pensato per il Museo Civico di Crema, era abbinato ad una performance in cui prendevo gli spettatori per mano e regalavo loro un oggetto fatto a mano come augurio di rinascita. Volevo fare almeno 200 oggetti artigianali da regalare, la scelta è ricaduta sugli origami perché sono facilmente realizzabili in poco tempo ma hanno alle spalle una tradizione che li nobilita. Dato che l’arazzo in questione si ispirava agli scafi di antiche piroghe, la classica barchetta di carta risultava appropriata. Non ho un particolare interesse per l’origami di per sé, ma in quella circostanza era la tecnica più appropriata per il mio scopo.

Io: Oltre a dedicarti alla fiber art, conduci laboratori artistici per bambini e tieni seminari in tutta Italia sulla simbologia della tessitura. Quanto è importante la narrazione in tutte le sue forme, per traghettare tecniche e saperi antichi nella contemporaneità e nel futuro?
AB: Quando è nata la fotografia, gli artisti sono stati liberati dalle antiche necessità mimetiche: perché rappresentare fedelmente la realtà quando si poteva scattare una foto? Da lì sono iniziate moltissime sperimentazioni inedite. Nel tessile credo si sia verificata una cosa simile: una volta che le macchine industriali ci hanno liberate dalle laboriose incombenze tessili di sussistenza, si sono aperte altre vie di manipolazione creativa. Secondo il mio pensiero, grazie ad una narrazione adeguata, si acquisiscono strumenti per comprendere al meglio la bellezza e le potenzialità della fiber art: la consapevolezza si traduce in una maggiore libertà espressiva e profondità di analisi. Per questo durante i miei seminari, tra cui “La Donna Ragno”, tratto contenuti teorici oltre a condurre l’esperienza laboratoriale (immagine 9).
Non solo, credo il tessuto sia un ottimo materiale per confezionare strumenti didattici per bambini: ho realizzato un libro tattile di stoffa legato alla scoperta del corpo e delle emozioni. Toccare significa conoscere il mondo per un bambino. Credo che una narrazione educativa ed efficace per l’infanzia debba passare dal contatto e dalla manipolazione di materiali. (immagine 10).

Io: Sogni nel cassetto e progetti futuri?
AB: Mi piacerebbe fare altri corsi per poter imparare a padroneggiare la tessitura a telaio. Inoltre vorrei fare una mostra sul tema del Cacodemone, pubblicare un libro di poesie illustrate (cartaceo) e approfondire il filone dei libri tattili in tessuto a scopo didattico ( sia per bambini che per legati alla sfera del femminile).

Chi è Anna Bassi
Anna Bassi è nata nel 1992. Ha frequentato il liceo artistico “A.Volta” di Pavia e successivamente l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Nel 2014 ha conseguito la laurea triennale in Grafica d’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 2017 la laurea specialistica in Teoria e Pratica della Terapeutica artistica presso la medesima accademia.
Dal 2016 al 2019 ha partecipato alle edizioni del “Young Fiber Contest” di Chieri, e ha fatto diverse mostre insieme al collettivo under 35 GAZABOI presso il Museo Civico Cremasco a Crema, la Fabbrica del Vapore a Milano, l’ex convento dei Carmelitano a Carini. E’ socia fondatrice di Gruppo TRA, che, grazie al supporto dell’associazione Via Farini, progetta e conduce laboratori artistici per bambini presso la Fabbrica del Vapore dal 2017.
Nel 2019 Gruppo TRA ha vinto il bando di concorso “Cultura Città Mondo” indetto dal comune di Milano per la riqualifica delle periferie milanesi grazie a progetti di carattere culturale. Ha tenuto corsi brevi di arte e arteterapia pressi diversi enti. Da settembre 2019 collabora con La Bottega della Luna, l’unico negozio in Italia specializzato sulle mestruazioni, curando il negozio, scrivendo articoli e proponendo incontri di arteterapia mestruale.
Contatti:
Instagram: annabassigatti | Facebook: Anna Bassi Gatti | Mail: bassianna18@yahoo.it
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