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Laura GuildA

Ho scoperto Laura GuildA grazie alla sua opera ‘Lost childhood’ esposta lo scorso anno a TRAMANDA e che affrontava il tema del lavoro minorile, tema al quale io sono particolarmente sensibile. Avevo immaginato un’artista attenta alle istanze della contemporaneità, ma solo intervistandola ho realizzato quanto la questione etica e sociale siano la vera materia di cui sono fatte le sue opere.

LAURA GUILDA | Knitted piece (first) | 2009

Io: Realizzi i tuoi lavori impiegando diverse tecniche, dal cucito al lavoro a maglia, all’infeltrimento alla tessitura. Ognuna presuppone un lungo periodo per l’apprendimento e soprattutto una lentezza nella realizzazione che pare estranea alla velocità del nostro tempo. Come sei arrivata a scegliere il filo e la fiber art per esprimerti?

LG: Avendo studiato moda prima di studiare arti visive, ero già abituata ad adoperare fili, fibre e tessuti. Quindi è stato un passaggio naturale utilizzare questi materiali e le tecniche legate ad essi per le mie opere.

Ho imparato a cucire da giovane grazie alla mia passione per la moda; all’inizio da sola, a Berlino, con una macchina da cucire che volevo avere e che mio padre mi regalò per i miei 14 anni, e poi seguendo un corso di cucito con Claudia Kallscheuer, oggi artista tessile. Dopo il liceo ho studiato presso una scuola tecnica per l’abbigliamento a Lugano e ho lavorato nell’atelier della stilista Marcella Marzona a Milano, eccellente esperienza fomativa, dove ho molto migliorato le mie competenze di cucito e dove ho imparato a ricamare. Per il lavoro a maglia ho frequentato un corso con Denise Bonapace e da Franca Bertagnolli, sempre alla NABA, ho appreso la tecnica dell’infeltrimento. Alla tessitura invece mi sono avvicinata due anni fa lavorando con Paola Besana e frequentando successivamente un corso di tappeti con Eugenia Pinna e di arazzo contemporaneo con Elisabetta Genoni. L’anno scorso ho comprato un grande telaio verticale dalla bravissima artista Heidi Bedenknecht – De Felice. Durante la quarantena degli ultimi mesi invece ho seguito un corso online di Belen Senra per imparare la tecnica del macramé.

LAURA GUILDA | Precious moss | installation | 2020 | photo by Marco Sfreddo

Mi incuriosisce imparare nuove tecniche ampliando così la mia conoscenza del mondo tessile. Nelle lavorazioni manuali provo una profonda gioia e spesso mi perdo per ore nella fase attiva della creazione. Entro in una sorta di “flow” dimenticandomi dello scorrere del tempo: per me è quasi pari ad un esercizio di meditazione. Poiché sono una persona molto paziente. meticolosa, perfezionista, la lentezza che occorre per realizzare le mie opere non mi disturba. Anzi, a volte, siccome non sono mai abbastanza soddisfatta del risultato, sono io stessa a dilatare i tempi nel cambiare, disfare e rifare i miei lavori finché non li ritengo perfettamente aderenti al mio progetto ed alla mia idea.  

LAURA GUILDA | Alto consumo | 2019 | photo credit Eleonora Gugliotta

Io: L’utilizzo di queste tecniche tradizionalmente ‘femminili’ ha per te anche un valore in sé, un riscatto del lavoro silenzioso e dimenticato di generazioni di donne, la restituzione della dignità di arte ad abilità ritenute per secoli esclusivamente funzionali al ruolo della donna nell’ambito dell’economia familiare?

LG: Anche se non li ho mai conosciuti so che la mia bisnonna tedesca è stata una sarta che insieme al mio bisnonno calzolaio aveva una piccola attività in paese. Anche il mio nonno austriaco discende da una famiglia di sarti. Nei suoi racconti narra di una famiglia molto numerosa che cuciva vestiti su un grande tavolo in cucina. Solo ultimamente ho anche scoperto che mia nonna, che ho conosciuto veramente pochissimo, possedeva un telaio e che mio padre da piccolo la vedeva tessere in casa. Purtroppo non ho avuto la fortuna di poter apprendere le tecniche di questi lavori ‘femminili’ dai miei famigliari.  I miei genitori e le persone con cui sono cresciuta facevano tutt’altro, ma è bello sapere di avere dei bravi artigiani tra le mie radici e che l’abilità manuale, in qualche modo, è nel mio DNA.

È certamente vero che le lavorazioni tradizionali di cui parliamo sono state a lungo ad appannaggio quasi esclusivo del mondo femminile: per secoli molti lavori tessili erano svolti dalle donne relegate nell’ambito domestico e, purtroppo, troppo spesso non venivano remunerati né valorizzati come forma d’arte né considerati un lavoro professionale. Trovo che sia molto importante non dimenticare queste tecniche ma anzi custodirle, coltivarle e trasmetterle alle generazioni future. Sono abilità preziose ed è assolutamente necessario trovare uno spazio ed attribuire loro il giusto valore nella contemporaneità.

LAURA GUILDA | Against plastic surgery | 2012

Io: Le tue opere conducono sempre a riflessioni sulle istanze della contemporaneità: in molti lavori affronti il tema dell’inquinamento e della salvaguardia del pianeta. L’arte, secondo te, sollecita la responsabilità personale dell’individuo ad agire, sveglia le coscienze oppure denuncia semplicemente le criticità di un sistema o di una società?

LG: Tutti e tre. Non l’ho pianificato: mi è venuto spontaneo fare opere concettuali che affrontano i temi della contemporaneità. Dopo un po’ mi sono resa conto che i mie lavori spesso criticano l’attuale sistema industriale e consumista. Evidentemente queste tematiche erano dentro di me e avevo bisogno di affrontarle. Essere artista per me è un modo per comunicare e esprimere i mie pensieri e le mie opinioni. Credo che sia sempre stato importante – e oggi più che mai – focalizzare l’attenzione sui temi dell’inquinamento e della protezione dell’ambiente. Mi piace pensare di poter risvegliare la coscienza degli osservatori delle mie opere e sarei molto contenta se riuscissi anche a sollecitarne responsabilità sufficientemente per agire.

LAURA GUILDA | Webstuhl | 2019 | photo credit Eleonora Gugliotta

Io: Spesso le tue opere evocano, in un modo o nell’altro, la natura: piante, radici, muschio…Abitando in una grande città, come vivi il tuo rapporto con l’ambiente naturale?

LG: Da bambina sono cresciuta in paesi e piccole città e amavo molto il contatto che avevo con la natura giocando nei boschi e in campagna e facendo lunghe gite in bicicletta. Ma poi da adolescente ho vissuto a Berlino e così mi sono abituata a vivere in una grande città: mi piace per le possibilità, i servizi e soprattutto per l’offerta culturale. Nonostante questo, apprezzo i parchi e spesso mi manca la natura e, soprattutto, dopo settimane in città, appena riesco vado volentieri via da Milano, al lago, dove il mio fidanzato ha un vivaio. Grazie a lui che si occupa di piante e progettazione del verde negli ultimi anni mi sono avvicinata molto di più al mondo vegetale e sto imparando a conoscerlo meglio.

LAURA GUILDA | Ter-ra-dici | 2014

Io: Alcune tue opere /installazioni, penso ad esempio a ‘Lost childhood’ con cui hai partecipato lo scorso anno a Tramanda a Chieri, nascono da istanze sociali. Qual è la genesi, anche emotiva, di un lavoro che affronta, ad esempio, un tema così complesso e sensibile come il lavoro minorile?

LG: Credo che alcune delle mie opere siano il frutto della mia delusione dal mondo della moda e del design. Se all’inizio è stato un sogno lavorare in questi settori, dopo alcune esperienze ho capito i suoi meccanismi, soprattutto quelli che riguardano la produzione e la commercializzazione, e sono arrivata alla conclusione che mi piace solo l’aspetto creativo di questo ambito e non nel suo insieme; ci sono troppe ombre che non riesco a tollerare e sostenere.

La mia opera “Lost childhood” denuncia la situazione (che mi auguro stia cambiando definitivamente) in alcune fabbriche di produzione di tappeti in Nepal dove i dipendenti lavoravano in pessime condizioni con orari estesissimi e senza alcuna cura medica. Ancora più grave è il fatto che venissero impiegati anche bambini come la giovane Kamala Lama che cominciando a lavorare all’età di sei anni ha perso 3 anni della sua infanzia tessendo e annodando tappeti dalla mattina alla sera. Essendo madre io stessa di un bambino di quasi la stessa età, questa storia mi ha toccato profondamente. L’opera parte dalla seggiolina rotta di mio figlio, acquistata alcuni anni fa ad un mercatino, sulla cui superficie, utilizzando le tecniche dei tappeti, ho intrecciato dei nastri scritti. Ho documentato così la storia di questa bambina che poi, fortunatamente, è stata salvata da una fondazione impegnata a combattere il lavoro infantile.

LAURA GUILDA | Lost childhood | 2019 | photo credit Eleonora Gugliotta

Io: La moda, sia per i risvolti altamente inquinanti che – per contro – per le possibilità espressive che rappresenta, è un altro dei temi della tua ricerca. Tra (iper)consumismo di massa e arte da indossare, qual è il tuo rapporto, anche artistico, con il ‘vestire’ nella sua accezione più ampia?

LG: C’è stato un periodo nella mia vita nel quale avevo dato molta importanza su come mi vestivo, forse perché questo allora era per me il mio modo di esprimermi. Gli abiti e gli accessori che indossavo erano tutti particolari perché nati da una ricerca mirata. Il loro abbinamento rifletteva il mio stile personale e anche il mio umore del giorno. Mi sono divertita molto anche a modificare e trasformare alcuni dei mie capi. Sono ancora un amante dei bei vestiti, ho un armadio pieno di abiti collezionati negli anni, ma ultimamente mi occupo veramente poco del mio abbigliamento. Mi basta che sia comodo e utile quello che indosso, abbinandolo magari ad un capo o gioiello particolare.

Negli ultimi anni ho creato vestiti e gioielli con il mio marchio “guilda” ed una linea di accessori personalizzabili che ho chiamato “B my accessory”. Non è una produzione commerciale ma, piuttosto, creativa, di pezzi unici. In questo periodo di quarantena in cui ho cucito mascherine, le mie creazioni sono nate però più per la voglia di fare qualcosa e come atto di amore per contribuire ad aiutare in un tempo così difficile. Ho fatto e regalato tantissime mascherine agli amici e poi ho cominciato a venderle. Star seduta alla macchina da cucire, fotografare i modelli e promuoverli mi ha fatto ritornare un po’ indietro nel tempo e, anche se in qualche modo mi piace la moda, credo di poter affermare di aver preso ormai le distanze da questo medium espressivo.

LAURA GUILDA | Sit and reflect | installation | 2019 | photo by Eleonora Gugliotta

Mi torna in mente la mia installazione “Sit and reflect”, composta da tre sedie tra cui “Webstuhl” una sedia che sollecita una riflessione critica sul lavoro nelle fabbriche tessili oppure l’opera “Alto consumo” – la sedia che si è rotta a causa dello spropositato consumo di prodotti di moda e design. Cucendo mascherine, mi sono resa conto che avrei sofferto una eventuale produzione in serie, un modello identico prodotto con lo stesso tessuto: la mia natura creativa necessita di unicità e diversità. Per questo preferisco realizzare abiti/scultura da esporre e abiti da indossare in pezzi unici o a “tiratura limitata”.

LAURA GUILDA | Alto consumo | 2019 (detail) | photo credit Eleonora Guigliotta

Io: Quali sono i materiali che utilizzi più frequentemente e c’è nella scelta un valore etico o concettuale oltre alla semplice funzione?

LG: Uso quasi sempre oggetti e materiali di recupero o reperti sui quali intervengo con le mie lavorazioni. Una ragione potrebbe essere perché le cose antiche che raccontano una storia mi affascinano di più. Poi perché così posso attribuirgli una seconda vita e contribuire così alla pratica virtuosa del riuso evitando dello spreco. Ho la fortuna di aver recuperato o ricevuto come regalo negli anni tanti tessuti, nastri e fili con cui potrei creare ancora tantissimo prima di comprare qualsiasi materiale nuovo. C’è una bellissima frase di Anni Albers che dice: “Being creative is not so much the desire to do something as the listening to that which wants to be done: the dictation of the materials.” Ovviamente parto sempre con un’idea per un’opera, ma mi sento molto affine a questo pensiero perché spesso poi è il materiale stesso che evoca l’idea per una creazione o influenza e indirizza il modo in cui si sviluppa un lavoro. Bisogna solo essere sensibili e sentire in che direzione vuole andare il materiale stesso, senza forzare qualcosa che non viene naturale o che non è possibile di realizzare.

LAURA GUILDA | clover-20 | 2020 | photo by Eleonora Gugliotta

Io: Chi sono – se ci sono – gli/le artisti/e, i/le maestri/e che più ti hanno influenzato o ispirato o ai quali ti senti più affine?

LG: Una grande scoperta per me è stata sicuramente Maria Lai che mi è stata suggerita dal mio professore Aldo Lanzini durante la stesura della mia prima tesi di laurea presso la NABA. Allora, nel 2012, lei era ancora in vita e siccome mi era piaciuto così tanto il suo lavoro, in estate decisi di andare a visitare il suo paese di nascita, Ulassai in Sardegna, e il museo “Stazione dell’arte” a lei dedicata. In seguito, ho intervistato per la mia ricerca sua nipote poiché lei già non stava bene. Da allora questa grandissima artista capace di creare arte da un filo mi è rimasta nel cuore ed ha sicuramente influenzato il mio lavoro e la mia ricerca.

Un altro importante maestro per me rimane Joseph Beuys, di cui ho approfondito la vita e il lavoro durante le lezioni di storia dell’arte tenute a Brera da Antonio d’Avossa, grande studioso dell’artista tedesco. Ho divorato la sua biografia e altri testi su di lui e il mio subconscio probabilmente ha appreso un po’ il suo approccio all’arte come azione sociale, l’uso dei materiali di recupero e della quotidianità e le tematiche ambientali e di sostenibilità.

Nella vita privata posso dire che il pittore Ercole Pignatelli e la designer e artista tessile Paola Besana, con i quali ho lavorato in questi ultimi anni, anche se così diversi tra di loro, mi hanno insegnato e trasmesso tanto.

LAURA GUILDA | Precious moss | 2020

Io: Qual è – se c’è – l’opera a cui ti senti maggiormente legata e dalla quale non ti separeresti?

LG: Credo che non mi separerò mai della mia opera “Lost childhood” perché oltre ad essere stato il lavoro chiave della mia laurea in arti visive, è stata anche la prima opera selezionata da un concorso per una mostra dedicata esclusivamente all’arte tessile.

Io: Un sogno nel cassetto o un progetto a lungo termine che tieni in serbo per il futuro?

LG: Un mio sogno nel cassetto da un po’ di tempo è avere un mio atelier aperto al pubblico dove lavorare, organizzare mostre e eventi, esporre e vendere le mie creazioni e quelle di altri artisti. Un laboratorio in realtà ce l’ho già e anche il negozio c’è: devo solo cominciare a coordinarli insieme.

LAURA GUILDA con l’opera Nature’s enemy | 2020 | photo by Marco Sfreddo

Chi è Laura GuildA

Laura Guilda Grote in arte Laura GuildA è nata nel 1986 e cresciuta in Germania. Dopo il liceo a Berlino e diverse esperienze formative in Spagna e in Svizzera si trasferisce a Milano dove comincia a lavorare nel campo della moda. Si è laureata in Fashion & Textile Design presso Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) e in Arti Visive – Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha lavorato per il pittore Ercole Pignatelli e per la designer e artista tessile Paola Besana.

I suoi lavori sono creati con lavorazioni tecniche come la maglia, il cucito, la tessitura o l’infeltrimento manipolando fili, tessuti, fibre e altri materiali. Usa anche video come medium per enfatizzare le sue installazioni che spesso sono una riflessione critica sull’industria della moda, la produzione di massa, la società dei consumi e l’inquinamento dell’ambiente. Crea anche abiti scultorei che raccontano una storia, arte da esporre e da indossare. Con il nome “guilda” firma una piccola produzione di capi, accessori e gioielli di pezzi unici.

LAURA GUILDA | Webstuhl | 2019 (detail) | Photo credit Eleonora Gugliotta

Contatti

website www.lauraguilda.com

e-mail info@lauraguilda.com

facebook https://www.facebook.com/lauraguilda/

instagram https://www.instagram.com/lauraguilda/

LAURA GUILDA | Ter-ra-dici | (2014) | detail

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