Ilana Efrati mi riceve nella sua tenuta nella campagna umbra sul finire della scorsa estate. È una donna minuta, elegante di un’eleganza che è sempre adeguata al momento poiché le appartiene intimamente, è espressione del suo talento, della sua personalità, della sua storia. Mi conduce attraverso la casa fino allo studio immerso nella luce pomeridiana, fitto di opere – alcune ordinatamente riposte, altre esposte alle pareti, altre ancora in fieri – tutte in dialogo diretto con il paesaggio che si affaccia dalle finestre.
Fatico a scrivere ‘l’artista’ poiché Ilana si sottrae a qualsiasi definizione assoluta: impossibile classificare con un’unica etichetta quello che fa, nutrito com’è dagli infiniti percorsi che esplora, spinta da quell’energia costantemente in movimento che si intuisce dietro alla luce che ha sempre negli occhi, promessa di un universo interiore da scoprire ancora e ancora poiché mai sazio, impegnato in una perpetua ricerca.
Cosmopolita, alterna la vita metropolitana a lunghi periodi nel silenzio della natura, mesi interi di viaggio a giornate di passeggiate nei boschi, il tempo vorace della contemporaneità a quello scandito dai cicli naturali. È esattamente la diversità e complessità dei fenomeni e degli eventi ad affascinarla: la cifra mutevole di ciò che ci circonda, la quotidiana metamorfosi – persino impercettibile nella sua lentezza – degli esseri viventi, la parabola tra luce e oscurità che ogni esistenza contempla. Il tempo e i suoi effetti sono al centro della sua ricerca: la trasformazione, la memoria, il fluire – soprattutto in sintonia ed all’unisono con la Natura, pietra angolare di tutta la sua pratica artistica.
Un po’ il compromesso linguistico, un po’ la vastità e varietà del suo lavoro rendono subito evidente che qualsiasi intervista sarà riduttiva. Occorrerebbe un volume intero e una narrazione che non può esaurirsi nelle formule compresse dettate da domanda e risposta. Ma ho voluto comunque fissare sulla ‘carta’ almeno questa prima traccia, una sorta di nota per ricordarmi che c’è molto da approfondire, molto altro da indagare dentro all’Arte di Ilana Efrati.
Quasi una scusa, insomma, per tornare a trovarla. Ancora e ancora.

Io: Qual è il tuo rapporto con la natura, elemento permeante di tutta la tua arte – e non solo?
IE: La natura, gli alberi e i campi agricoli mi hanno sempre affascinata sin da bambina. Ho dei primi ricordi legati all’esperienza di vagabondare da sola nei campi selvatici vicini a casa mia, al limitare della città. Ho seguito il cambiare delle stagioni, in primavera ho anche guardato i fiori selvatici che creavano dei tappeti colorati di viola, giallo, rosso, che sparivano subito con l’arrivo del caldo. Anche l’estetica dei campi estivi seccati dal sole, con le spine eleganti, erano di una bellezza che mi piaceva. Portavo dei fiori e rami a casa per arrangiarli secondo le tradizioni giapponesi di ikebana che avevo imparato in quegli anni.

Io: Perché hai scelto il tessile come medium espressivo per la tua arte?
IE: Sono cresciuta in una casa dove i lavori tessili avevano un posto centrale: cucire, ricamare, fare la maglia. C’erano anche tessili di epoche lontane, fatti di seta colorata con tecniche antiche che la mia famiglia ha ereditato dai nostri antenati di Samarcanda. Il tessile ha per me una dimensione speciale della memoria personale e collettiva, esso ci avvolge, si sente con tutti i sensi attraverso il tatto con il corpo umano, la sua presenza visiva è il panorama umano nello spazio pubblico in cui viviamo. Il tessile contiene la natura, inizia con la terra e l’acqua e continua con la fibra, il sapere umano, l’artigianato, l’arte, la storia, l’identità e il luogo.

Io: Come sei arrivata a coniugare natura e tessuto nella tua ricerca e pratica artistica?
IE: La connessione tra la natura e il tessile è per me molto intuitiva e legata anche al mio passaggio tra la vita in città e la vita in campagna, in una casa medievale. Vivere nella natura, in mezzo ai campi, vicino al bosco mediterraneo, ha generato in me un rinnovato interesse nei cicli naturali. Le piante locali mi hanno legata alla memoria della natura e dei campi della mia casa d’infanzia. Il mio studio immerso nel bosco mi ha concesso molte ore, lunghe e tranquille, di ricerca e sperimentazione. Ho cercato i pigmenti nascosti nelle piante selvatiche. Ho immaginato i contadini che hanno abitato questa stessa casa in passato, prima dell’era industriale, raccogliendo qui le piante e i fiori per tingere la lana delle pecore locali.

Io: Quanto sperimenti in termini di tecniche e materiali?
IE: Il mio è un lavoro da autodidatta che prevede lunghi percorsi di sperimentazione, non sempre mirati a uno scopo specifico. Il lavoro mi interessa sempre e porta esso stesso a nuove idee. Invento tecniche partendo dalla mia immaginazione che sfociano poi in una pratica personale e aspiro a creare attraverso metodi e strumenti minimali e quotidiani.

Io: Cosa raccontano i tuoi lavori?
IE: Attraverso le diverse tecniche con cui mi esprimo, conferisco una interpretazione personale e attuale alla memoria, all’esperienza della natura, al tempo. La mia ricerca è orientata contro l’anonimità della riproduzione commerciale e industriale. Il mio lavoro aspira ad essere sostenibile includendo anche l’avversione verso i pigmenti tossici che inquinano la terra.



Io: Come si è evoluta la tua ricerca artistica nel corso del tempo?
IE: Una costante ricerca artistica è alla base di tutte le mie opere. Un percorso fatto da ore e ore di giri quotidiani, di osservazione della natura in tutte le stagioni. Raccolgo piante, foglie, bacche, fiori e rami per portarli a studio e poter continuare a investigare diverse tecniche – dalla pittura alla fotografia, dalla tintura delle fibre al ricamo e alla tessitura. Nel corso dell’anno osservo la mutevole capacità delle piante di colorare tessuti naturali: ho creato una ‘biblioteca’ di pezzi di stoffa colorati e confronto l’impatto del cambio climatico sulle tonalità dei pigmenti che creo partendo dalla natura. Attraverso queste pratiche che seguo da 15 anni, studio e documento il luogo dove vivo, la natura che circonda la mia casa in Umbria.


Io: Vivi tra Israele e l’Italia. Come hanno influito queste due culture sul tuo lavoro?
IE: La dimensione del tempo cambia molto tra città e campagna. Nella moderna Tel Aviv, il tempo dinamico e veloce apparteneva, nel mio lavoro, alla moda e ai suoi ritmi. Quando ho sentito la necessità di rallentare, ho trovato la campagna umbra che mantiene ancora i ritmi lenti che cercavo, in sintonia con quelli della natura, a contatto con la presenza tangibile del passato, di cui l’arte e l’architettura si mescolano con il presente.

Io: Cosa significa essere un’artista per te? E che rapporto c’è tra arte e vita?
IE: L’arte per me è un modo di vivere: le scelte e le pratiche quotidiane, anche le più banali, hanno una dimensione artistica. La mia arte ha un cifra fortemente autobiografica che esprime il complesso della vita, dai primi ricordi, fino alle esperienze vissute, alle molte attività, ai viaggi, ai sogni.

Chi è Ilana Efrati
Ilana Efrati è artista multidisciplinare e stilista. Diplomata in Arte e Design Grafico a Tel Aviv. Nel 1983 ha fondato nella stessa città il brand Ilana Efrati che include moda, pelletteria, ceramica e fotografia con enfasi su tessuti di qualità e design di ispirazione locale. Negli anni ’90 per un decennio crea e cura il progetto Designers Avenue, uno spazio dedicato alla moda e al design israeliani in una catena di grandi magazzini in Israele. Nel 1995 è ideatrice della linea di moda femminile AA 100% cotone, abiti quotidiani ispirati allo stile degli laboratori israeliani degli anni ’50. Nel 2005 approda in Umbria, impegnandosi nel recupero, restauro e ricostruzione di un’antica tenuta agricola dove avvia la coltivazione biologica contestualmente ad un crescente interesse per la sperimentazione puramente artistica anche attraverso il medium tessile. Nel 2010 fonda la rivista online Masaot (viaggi nel guardaroba, masaot.com) dedicata agli aspetti culturali, storici e artistici della moda in viaggio per il mondo. Nel 2019 pubblica il libro Orto: Nature, Inspiration, Food scritto con Or Rosenboim, sulla base delle fotografie quotidiane nella natura di Ilana Efrati.
Tra le mostre recenti segnalo (2022) Omaggio alla terra, Artists House Gallery, Tel Aviv; Paisley from a Prince to Prince, The Museum of Islam, Jerusalem; (2021) After the birds’ paradise, personale, Herzelyyia Museum of Contemporary art, a cura di Aya Lurie e Natalie Tiznenko; (2020) The smell of art, HaHava Gallery, Holon; Object of passage, Ashdod Museum; (2019) The Museum of Italian Jewry, Jerusalem; (2018) Circle, Beit Biniamini Gallery, Tel Aviv, a cura di Shlomit Bauman; In between, Periscope Gallery, Tel Aviv; A place for fashion, Israel Museum, Jerusalem.
Nel 2022 ha fondato a Tel Aviv lo Studio Ilana Efrati, uno spazio artistico multi-disciplinare.


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