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RETOUR

In contemporanea con la mostra dell’artista in corso a Todi (PG), fino all’11 giugno a Les Ammonites Maison d’Hôtes et d’Art a Marrakech, Marocco, è visitabile il percorso fotografico di Zouhair Bellahmar, RETOUR.

RETOUR è una delle possibili, essenziali, sintesi fotografiche di un percorso (anche esistenziale) di cui l’artista italo-marocchino rende partecipe l’osservatore. Non è un reportage fotografico il suo, piuttosto la restituzione di un mosaico composto attraverso lo sguardo dell’esule che si riappropria di un luogo e di tutto ciò che contiene, della sua profondità, di ogni dettaglio, anche il più insignificante; un processo metodico e certosino, una tessera alla volta, nel timore di perdere nuovamente il diritto a sentirsene parte.  Il ritorno di Zouhair Bellahmar assomiglia infatti più ad un viaggio alla scoperta dell’altra metà di sé che ad un ritorno, orfano com’è di un punto di partenza coincidente.

Zouhair Bellahmar BRKZL#1, fotografia su stampa opaca, cm. 65 x 50, anno 2020

Uno scatto dopo l’altro, l’osservatore diventa testimone privilegiato della sutura dei lembi di una ferita: qui le due sponde del Mediterraneo si incontrano, talvolta si sovrappongono, talaltra si confondono. Prendono forma in una serie di ritratti femminili dalla cifra ironica, in cui un burka-lenzuolo sottolinea la centralità e la bellezza dell’individuo nella sua essenza, al di là della superficialità della cifra estetica, al netto delle etichettature riduttive, svilenti dell’unicità del singolo. Sono donne e ragazze italiane, infatti, ad indossare tessuti colorati alla maniera del burka mostrando quanto sia facile lasciarsi ingannare dall’apparenza e quanto sia invece sempre più urgente superare la dimensione esteriore di ciò che osserviamo fino a scoprirne e conoscerne la sostanza, presupposto imprescindibile per sviluppare un approccio critico alla realtà.

Nelle sue fotografie, Bellahmar restituisce il suo Marocco, mondato di ogni cedimento al pittoresco, di ogni superflua indulgenza; ritratto vero, a tratti crudo, come solo chi nutre un amore autentico può permettersi di fare. Il suo sguardo ibrido, il poter accedere oltre le porte e i muri dentro l’anima della società e della cultura marocchina, informano un lavoro di documentazione fotografica che assume così i contorni di un’opera d’arte: è tecnica, forma e contenuto, espressione e narrazione individuale che diventano però universali, veicolano strati su strati di letture e interpretazioni ulteriori e differenti, affrancati dalla sola dimensione rappresentativa.

Apparizioni fugaci immerse nel blu di Chefchaouen, i tuffi di un gruppo di bambini che giocano, una donna che passeggia sulla spiaggia, un gatto alla ricerca del suo pasto: istanti, dettagli minimi di una quotidianità che custodisce nella sua normalità una bellezza familiare e domestica. Nel Marocco che ci regala Bellahmar ci sentiamo a casa, frame dopo frame acquisiamo piccoli frammenti di intimità con questa terra, stabiliamo una relazione che è fatta di inconsapevoli sottili vibrazioni in armonia con la sua gente, con i suoi ritmi, con i suoi colori.

L’artista

Zouhair Bellahmar nasce a Todi nel 1989. Figlio di padre arabo e madre italiana, da sempre trascorre la propria vita tra Italia, Marocco e Francia: mète che presuppongono viaggi ed esperienze di cui la sua fotografia si nutre. Avvicinatosi alla fotografia più di quindici anni fa da autodidatta, già nel 2011 per Paolo Palmeri professore universitario in Antropologia Culturale realizza la copertina del volume “Lezioni di antropologia dello sviluppo” (ed.Nuova Cultura Roma). Nel 2013 partecipa alla collettiva “Contemporanea. Pittura, scultura, fotografia e design” presso il Palazzo del Vignola a Todi (PG) durante la XXVII edizione di Todi Festival condotta da Silvano Spada. Nel 2015 frequenta il corso in tecniche fotografiche tenuto da Andrea Adriani, professore di cui Bellahmar è assistente fino al 2018. Negli anni successivi seguono, nel 2014, la realizzazione della copertina del libro di Dario Cassini “Il dizionario, Donna-Italiano/ Italiano-Donna” (Cairo Editore), nel 2015 la personale presso UNU (Unonell’unico) in occasione di Diritti a Todi – Human Rights International Film Festival coordinato da Antonio Biella e Francesco Cordio, e la collettiva “Dalla notte all’aurora” curata dall’Associazione Il Mosaico di Perugia.

BRKZL#4, fotografia su stampa opaca, cm. 65 x 50, anno 2020

Dal 2017 al 2019 vive a Parigi per motivi di ricerca artistica cui segue organizzata in collaborazione con la direttrice della Galleria Space Mater di Todi, la personale “Dalla Z alla A”. Al 2021 risale il suo contributo ad un nuovo progetto editoriale di Matteo Boetti, intitolato “Reverse Cow-girl”. Lo stesso anno partecipa alla collettiva virtuale “Guerriglia Semiologica” curata da Trascendanza. Nel 2021 con l’antropologo Leone Palmeri lavora a “Legami d’Arte” progetto in fieri di carattere documentario volto a mappare tutte le realtà e personalità artistiche della regione Umbria.

CATALOGHI ITA/FRA/ENG SCARICABILI QUI:

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Fiber Art Italiana: i pionieri

Edito da ArteMorbida, è uscito qualche settimana fa FIBER ART ITALIANA: I PIONIERI il saggio di Renata Pompas che racconta e ricostruisce – in poco meno di 300 pagine – nascita ed evoluzione dei linguaggi riconducibili al tessile nell’ambito dell’arte italiana. Partendo dalla definizione e dalle caratteristiche che classificano artisti/e e opere appartenenti a questa corrente, l’autrice disegna una mappatura nazionale, esplorando le dinamiche che hanno segnato l’inizio della sperimentazione delle tecniche e dei materiali tessili nell’ambito artistico. Procede poi con una certosina ricognizione delle/gli artiste/i che hanno utilizzato questo medium traghettandone il passaggio dall’artigianato alle arti visive, pioniere/i che molto prima che la fiber art ottenesse un vero riconoscimento come espressione dell’arte, hanno osato portare il filo e la tessilità in un territorio nuovo.

Sessantuno profili che illustrano poetica, biografia e opere di altrettanti artisti/e di prima e seconda generazione, italiani/e o attivi sul territorio nazionale, da Maria Lai a Mirella Bentivoglio, Paola Besana, Renzo Carrara, Gina Morandini, Anna Moro-Lin, Martha Nieuwenhuijs, Marialuisa Sponga e, ancora, Attiliana Argentieri, Eva Basile, Silvia Beccaria, Vito Capone, Kela Cremaschi, Anna Esposito, DAMSS, Federica Luzzi, Gisella Meo, Lydia Predominato, Valeria Scuteri, Franca Sonnino, Tiziana Tateo, Mimmo Totaro – solo per citarne alcuni.*

Conclude questa ricerca una ricostruzione delle principali mostre in Italia ed in Europa che hanno contribuito alla diffusione e all’evoluzione della fiber art fino ad oggi. Un testo fondamentale che segna finalmente un riconoscimento ai fondatori di questo movimento nel nostro paese consegnandone alla storia e alla memoria una visione complessiva ed un’analisi dettagliata al contempo.

Renata Pompas è giornalista, saggista e docente. Specializzata in Colore, Textile Design e Fiber Art. Studiosa e docente del colore, ha pubblicato con prestigiose case editrici e testate. Già socia ADI Associazione Design Industriale, è tra i fondatori del Gruppo del Colore – Associazione Italiana Colore e due volte nel Comitato di Presidenza. Membro di International Color Association, ha presentato i suoi lavori in convegni nazionale e internazionali. Tiene seminari sul colore in Università, Accademie, aziende, istituzioni e privati. Ha lavorato presso importanti studi di Textile Design per la moda e la casa. Direttrice di Corso di Digital Textile Design presso AFOL Moda dove ha insegnato progetto e colore, è membro del CISST Centro Italiano per lo Studio della Storia del Tessuto, di ETN European Textile Network e di TEXERE Textile Education and Research in Europe. Autrice del testo Textile Design – Ricerca – Elaborazione – Progetto (Hoepli Ed) adottato da molti istituti scolastici.

Il volume è acquistabile su ArteMorbida Shop online QUI

*Indice degli/lle artisti/e: Argentieri Attiliana, Balbi Giuliana, Bandiera Marisa, Basile Eva, Beccaria Silvia, Bedenknecht Heidi, Bentivoglio Mirella, Besana Paola, Bianchin Cristiano, Bonfante Paola, Bonfanti Renata, Bronzini Marisa, Cané Carlo, Caorlin Teodolinda, Capone Vito, Carrara Renzo, Casaril Wanda, Chioni Roberta, Ciminaghi Anne Marie, Cocheril Jeanne-Marie, Condemi De Felice Nietta, Cremaschi Kela, DAMSS, De Stasio Augusto, Esposito Anna, Ghersi Luciano, Gianello Luciana, Lai Maria, Lanza Sveva, Levi Silvana, Luzzi Federica, Maack Valeria, Mannino Roberto, Marconato Sandra, Martinelli Mario, Meo Gisella, Molinari Mauro, Morandini Gina, Moro-Lin Anna, Nava Nadia, Nieuwenhuijs Martha, Onofri Maria Teresa, Pagliuca Lucia, Penna Raffaele, Peroni Paulette, Predominato Lydia, Salvini Pierallini Elena, Savoi Alba, Scarpi Gabriella, Scuteri Valeria, Scavizzi Marilena, Seregni Loredana, Seidmann Sarah, Sonnino Franca, Sponga Marialuisa, Tateo Tiziana, Totaro Mimmo, Tudor Mario, Vitali Ivano, Roberto Zanello, Antonia Zecchinato.

DE FILO

Per i suoi 150 anni Linificio e Canapificio Nazionale ospiterà, fino a fine anno, DE FILO: un’esposizione di opere di importanti esponenti internazionali di arte tessile e contemporanea.

Un viaggio alla scoperta della cultura del lino e dell’eccellenza dell’industria tessile bergamasca, nell’anno in cui la città, assieme a Brescia, è Capitale Italiana della Cultura.

Azienda di riferimento a livello internazionale per la filatura di lino e canapa di alta qualità, Linificio e Canapificio Nazionale B Corp è una delle più antiche filature europee che da 150 anni mantiene i suoi filati attivi, con un know-how unico nel settore tessile, promuovendo la cultura del lino e il ritorno alla coltivazione della fibra sul territorio italiano e sperimentando parallelamente applicazioni sostenibili all’avanguardia di lino e canapa in settori extra tessile come il packaging alimentare e l’industria automobilistica.

Dal 1873, Linificio e Canapificio Nazionale scrive una storia di amore incondizionato per le fibre naturali di lino e canapa che si esprime attraverso un profondo rispetto per la tradizione, una coraggiosa spinta all’innovazione e una spiccata sensibilità verso cultura e ambiente.

Matteo Berra – Spettro

Nel 2023, in occasione dei suoi 150 anni e nel contesto degli eventi organizzati per Bergamo-Brescia Capitale Italiana della Cultura, questa eccellenza italiana del tessile vive un anno unico, scandito da numerose novità ed eventi dedicati all’azienda, ai suoi protagonisti e al territorio in cui opera.

Sono poche le realtà che possono vantare una storia come quella del Linificio. Una storia che, come i fili magistralmente prodotti, si intreccia indissolubilmente alla tradizione, alla cultura e al territorio, costruendo intorno a sé una vera e propria filiera del valore che, oltre alla fabbrica, abbraccia concetti ben più ampi come sostenibilità, arte, comunità e molti altri. Da sempre attivo in numerosi progetti di responsabilità sociale, come testimoniato anche dal recente ottenimento della certificazione B-Corp, il Linificio opera con l’obiettivo ultimo di creare e diffondere cultura, non solamente tessile.

Federica Patera e Andrea Sbra PeregoPaesaggio Immaginale, 2017
Stampa su tela di cotone cucita, tulle, fili di lana, spilli
400x200x70 cm

È proprio con l’intento di farsi portatrice di cultura che, in occasione di questo importante traguardo, l’azienda ha deciso di dare vita a DE FILO: l’esposizione d’arte tessile e contemporanea che a partire dal 20 maggio animerà gli ambienti aziendali.

Allestita all’interno della sede di Linificio e Canapificio Nazionale a Villa d’Almé (BG) presso uno spazio industriale precedentemente adibito alla roccatura, la mostra parte dalla tradizione industriale italiana, passa per i linguaggi della comunicazione e approda all’arte per raccontare la storia e la filosofia dell’azienda e diffondere l’antica cultura del lino. Un omaggio all’industria tessile italiana e alle sue possibili visioni sostenibili, declinato attraverso molteplici interpretazioni di arte contemporanea, che stimolano nuove riflessioni su umanità, relazioni, natura ed industria.

Daniela Frongia – Thῡmόs 4.0

Da questi presupposti si disarticola DE FILO, un concetto dai significati diversi e di contrasti esperienziali: de-filarsi per nascondersi o per distinguersi virtuosamente, arrotolarsi ordinatamente o srotolarsi liberamente, filare per stringersi o per espandersi, tessere per proteggere o per connettere. DE FILO propone un possibile approfondimento multidisciplinare sull’oggetto “filo” (usando “DE” nell’accezione della preposizione latina “in merito al” ma anche “sul” filo) e, attraverso il lavoro di artisti contemporanei e designer non solo in ambito tessile, intende trasmettere messaggi legati al Linificio, alla sua storia, ai suoi luoghi, ai prodotti, alle tecnologie e soprattutto alle innovazioni sostenibili e alle nuove applicazioni pionieristiche. Dai filati per i tessuti di lino e canapa alle azioni per la salvaguardia dei fondali marini (Marevivo), dalle reti naturali per packaging alimentari (L!NCREDIBLE ®) alle iniziative di compensazione per tutelare la biodiversità, oltre alle attività culturali, educative e di valorizzazione del territorio: questi sono solo alcuni dei progetti che negli ultimi tempi hanno caratterizzato la storia dell’azienda e che danno il via all’interpretazione di alcune opere presenti all’interno dell’esposizione.

Kaori Miyayama – Filare tra le nuvole

L’esposizione propone i lavori di oltre 20 esponenti dell’arte tessile e contemporanea nazionale e internazionale: a partire dalle opere site specific di Kaori Miyayama, Matteo Berra e dello street artist Moneyless, pensate e realizzate direttamente per gli ambienti del Linificio. Tra gli artisti presenti in mostra Matthew Attard, Daniela Frongia, Giulia Nelli, Eva e Franco Mattes, Federica Patera e Andrea Sbra Perego, Valeria Scuteri, Mimmo Totaro.

Ideata dalla società di comunicazione NT Next – Evolving Communication, DE FILO è parte di un progetto più ampio di comunicazione strategica e di coinvolgimento di tutti gli stakeholder del Linificio.

Per registrarsi allo speciale open-day del 20 maggio – visita mostra e azienda: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-150-linificio-e-canapificio-nazionale-open-day-20-maggio- 619466088747

Per registrarsi per le giornate di visita alla mostra (una serie di venerdì nel corso dell’anno) al sito: https://www.linificio.it/de-filo/

La mostra sarà aperta dal 20 maggio al 31 dicembre 2023, opening 20 maggio, 14:30 (registrazione obbligatoria) presso il Linificio e Canapificio Nazionale, via Ghiaie, 55, 24018 Villa d’Almè BG (Tel.+39 035 634011)

VALERIA SCUTERI – Invito. Amatevi come IO ho amato voi, cm.100×45; fili di rame smaltati, acciaio; tessitura a telaio, libero intreccio e manipolazione; anno 20212022

FROMOSO

La AOC F58-Galleria Bruno Lisi promuove Fromoso la personale dell’artista multimediale Zoè Gruni, curata da Camilla Boemio.

La Gruni è una delle artiste più rappresentative della sua generazione, coerente fino ad essere radicale, ha da sempre esplorato senza filtri le tematiche di genere, l’identità, la diaspora, la colonizzazione forzata in Brasile, la storia indigena, la causa femminista utilizzando il proprio corpo e dialogando in modo corale con altri performer, scrittori, registi nel realizzare opere in comunione per affrontare ‘nervi scoperti’ che le hanno permesso di arrivare allo stato di grazia, artefice di opere totali d’arte contemporanea.

In questa catarsi i simboli ramificati prendono forma, l’identità come indagine, come baluardo estetico politico nel quale si estendono le reminiscenze della Dimensione Oscena di Peter Gorsen; il contenuto ideologico della ribellione morale come visione anti-capitalistica, come ritorno al ‘ buon selvaggio’ di Rousseau, applicazione del senso rivoluzionario delle aggressioni ‘oscene’ alla morale costituita.

La mostra si articola e prende forma intorno alla video installazione ‘Fromoso’. Questo ultimo (Rio de Janiero, Brasile 2019-2020) è una video-performance ispirata al concetto di antropofagia. L’azione è stata realizzata in una discarica di carri del carnevale nell’area portuaria di Rio de Janeiro. Il corpo della ballerina cubana Ana Kavalis si abbandona ad un rituale esoterico nel quale viene assorbita fino a scomparire. 

Le opere in mostra incorporano e partono dall’installazione site-specific composta di tessuti che circonda la video installazione, per arrivare a “Fromoso” (2020) stampa fotografica su forex, “Fromoso” (2020) che si compone di sei elementi realizzata in stampa fotografica su forex, e “Fromoso I”; “Fromoso II”; “Formoso III”; “Fromoso VI”, (2020) una serie di quattro incisioni in linocut su carta.

Secondo Boemio: “Zoè Gruni attinge alla tradizione visuale del secondo rinascimento evocato da Eugenio Battisti nel suo “L’Antirinascimento”, nonché a modalità caleidoscopiche antropologiche dell’arte nelle quali dialogano il potere arcaico del retaggio storico con il linguaggio più rigoroso dell’arte contemporanea. Descrive il corpo umano come uno strumento poroso di piacere, dedalo infuocato di trasformismo, fluido, indipendente, irriverente, nel quale aleggiano l’ancestrale terrore con stadi di ascesi. La sua inclinazione per la manualità e l’utilizzo con maestria dei materiali forgiano la scultura che diventa un’armatura da indossare (una seconda pelle) che si collega ai movimenti figurativi e funk della Bay Area, luogo nel quale ha vissuto a lungo, ma dal quale espande i retaggi pagani, creoli ed indigeni. Il corpo è l’ultima frontiera, il soggetto scomodo nel quale avvengono le trasformazioni. Il concetto di corpo come frontiera viene trattato da una vasta gamma di diverse angolazioni: formali, estetiche, esistenziali e politiche nelle quali è esorcizzato, venerato, mistificato rimanendo il protagonista assoluto. Anche questa mostra d’arte (dopo il talk di Febbraio tenutasi ai Pistoia Musei) è in movimento, come i passi della performer cubana protagonista di Fromoso. Passa da uno stato all’altro, diventando qualcos’altro, esplorando molteplici identità, fino alla sua ascesi.”

Segnaliamo il libro d’artista Segunda pele pubblicato da Metilene (2023), sviluppato durante l’esperienza dell’artista in Brasile, nasce dal bisogno di esorcizzare la paura del diverso. In questa ricerca il corpo diventa l’elemento catalizzatore capace di relazionarsi con gli altri, rappresentando il principale filtro fra l’essere umano e il mondo. Il volume è consultabile, ed acquistabile, anche nella libreria di Palazzo delle Esposizioni, a Roma.

ROME, ITALY – MAY 13: Artist Zoè Gruni and curator Camilla Boemio attend the “Fromoso” art exhibition by Zoè Gruni at Galleria Bruno Lisi on May 13, 2023 in Rome, Italy. (Photo by Elisabetta A. Villa/Getty Images)

Zoè Gruni (Pistoia, 1982) ha vissuto e lavorato a lungo a Los Angeles, a Rio de Janeiro e a San Paolo. Diplomata presso l’Istituto d’arte di Pistoia, si laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Successivamente si trasferisce in California e poi in Brasile dove ha modo di approfondire la propria ricerca artistica sui linguaggi del corpo in relazione ai contesti sociali e culturali locali. Ha collaborato con vari istituti di ricerca come il CCC Strozzina (Centro cultura contemporanea Palazzo Strozzi) di Firenze, la San Francisco Art Institute in California, l’Università FAAP (Fundação Armando Alvares Penteado) di San Paolo e la EAV Parque Lage di Rio de Janeiro in Brasile.

Il suo lavoro é rappresentato in Italia dalla Galleria Il Ponte (Firenze), esibendolo in molte fiere internazionali di arte contemporanea, tra le quali Artissima.

AOCF58 – Galleria BRUNO LISI, via Flaminia 58 – Roma (metro A fermata Flaminio)
Inaugurazione sabato13 maggio dalle 18.00 alle 20.00
Periodo dal 13 maggio all’26 maggio 2023: orario dal lunedì al venerdì, 17,00 alle 19,30

Fonte: Comunicato stampa

Jorgelina Alessandrelli: SIMBIOSI

Approda a Todi in occasione di Natura d’artista – evento collaterale di Todi FioritaSIMBIOSI, l’opera dell’artista argentina Jorgelina Alessandrelli presentata in anteprima lo scorso febbraio a Bergamo nella mostra FIBERSTORMING promossa da ArteMorbida per WTA World Textile Art nell’ambito del Salone Italia e inserita tra gli eventi di Bergamo Brescia Capitali della Cultura 2023.

JORGELINA ALESSANDRELLI, Simbiosi, scultura verticale, cm.120x100x25, ritagli tessili, sfridi, cucito, anno 2022

“È ormai universamente diffusa l’idea che ogni cosa sia interconnessa e dunque il concetto di “rete della vita” è alla base della moderna concezione scientifica della natura” – scrive Merlin Sheldrake nel suo ‘L’ordine nascosto’ un saggio in cui indaga la vita segreta dei funghi e il sistema di connessioni che lega ogni elemento agli altri. “Fu Haeckel – continua – a coniare la parola “ecologia” nel 1866. L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi e il loro ambiente dunque sia i luoghi in cui vivono sia le fitte relazioni su cui si basa il loro sostentamento. Ispirata dal lavoro di Alexander von Humboldt, l’ecologia nasce dall’idea che la natura sia un tutto interconnesso, “un sistema di forze attive”. Gli organismi non possono essere compresi se considerati in modo isolato.” Questo è il principio cui è ispirata SIMBIOSI, l’opera di Jorgelina Alessandrelli, una scultura tessile che ci restituisce il senso di una connessione imprescindibile per garantire la vita.

In un abbraccio simbiotico tra il mondo vegetale e quello animale, un ibrido metà albero e metà uccello incarna la reciproca dipendenza e la fluidità con cui in una perenne metamorfosi la vita assume nuove forme, scorrendo da una specie ad un’altra, in un ciclo di rigenerazione di cui l’uomo minaccia oggi i fragili equilibri. L’urgenza di preservare il complesso sistema di rapporti tra gli esseri viventi investe, oggi più che mai, un’umanità vorace di risorse della responsabilità del proprio agire per salvare il pianeta e con esso anche se stessa. (dal testo di Barbara Pavan del catalogo Fiberstorming)

Dal 19 al 28 maggio l’opera sarà esposta da Silvia Ranchicchio Art Studio, in via Duomo 1, Todi.

L’artista

Jorgelina Alessandrelli ( Argentina 1965) vive e lavora a Monza. 

Ha conseguito una laurea in Belle Arti presso L’Universidad Nacional de Rosario, Argentina. Nello stesso anno, con la sua installazione e tesi di laurea “Tuyo el poder y la Gloria” partecipa nella mostra “Arte sin Disciplina” al Museo Castagino di Rosario. Successivamente ottiene anche una laurea in pedagogia. Ha esposto in diverse mostre e concorsi d’arte in Argentina, Brasile, Statti Uniti e in Italia. 

Nel 2023 ha partecipato a “Fiberstorming” la mostra inserita tra le celebrazioni del 25 Aniversario del World Textile Art WTA al ex Ateneo di Bergamo Città Alta, promossa da Arte Morbida, patrocinata dal Comune di Bergamo e curata da Barbara Pavan. Nel 2020 come artista ufficiale dello stand di ArteMorbida TextileArt Magazzine a Bergamo Arte Fiera presenta la sua installazione tessile “Yo quería estar más bonita”. 

Nel 2021 con la sua opera “Ritual” vince il Premio del pubblico nel XVIII Concorso Internazionale di Fiber Art Trame a Corte ” Eco Hope” presso la Rocca di Sala Baganza. Sempre nel 2021 partecipa della  mostra “Per Filo e per Segno” curata da Marisa Cortese nella Fabbrica della Ruota a Pray. Nello stesso anno, vince il Premio  della Critica nella I Biennale d’arte Omaggio al Maestro Scalvini di Desio a cura di Vera Agosti. 

Nel 2019 realizza la mostra personale “Lights & Shapes” nello Spazio Hus Milano a cura di Mariano Belarosa evento inserito al Brera Design Week. Una altra mostra personale al MIMUMO Micro Museo Monza per presentare il progetto ” Crepuscolo” a cura di Felice Terrabuio. 

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FLÚERE

F’Art Spazio per l’Arte Contemporanea, via San Francesco da Paola 13, a L’Aquila inaugura sabato 13 maggio 2023, alle ore 17, “FLÚERE”, la mostra personale di Susanna Cati, a cura di Barbara Pavan.

Susanna Cati – BLU

FLÚERE raccoglie e presenta un corpus eterogeneo di opere, sintesi antologica del lavoro di Susanna Cati degli ultimi tre anni. Una ricerca iniziata durante il lockdown conseguente alla pandemia che ha nell’acqua il suo fil rouge – principio ispiratore e metafora di una pluralità di istanze individuali ed universali – e che prende forma attraverso una sperimentazione di tecniche e materiali che, pur partendo dalla cifra tessile, esplora l’utilizzo e la manipolazione di materie altre. Evolve anche, per l’artista, nello stesso arco temporale, il rapporto e il dialogo con lo spazio, allorché la sua pratica si libera da una bidimensionalità residua cui la costringeva l’intreccio alla base della tessitura e di cui già attraverso il tafting e l’assemblaggio aveva iniziato a superare i confini. Approda infine ad una tridimensionalità piena che le consente dapprima di stabilire una diversa relazione tra l’opera e il fruitore e successivamente, con le più recenti installazioni site specific, un dialogo tra l’opera e lo spazio, arrivando a creare ambienti immersivi all’interno dei quali artista ed osservatore condividono una comune esperienza seppur da punti di vista differenti.

Susanna Cati – ABISSO

Il percorso espositivo conduce il visitatore dentro la ricerca dell’artista in un itinerario che parte dagli arazzi polimaterici del progetto Kairos, attraverso le piccole opere che indagano le ragioni dell’acqua, fino alle sculture morbide e, infine, al lavoro tuttora in progress – FONS, FONTIS – una grande installazione modulare la cui realizzazione è interamente sostenuta da Acqua Rocchetta.

Susanna Cati – FONS, FONTIS (dettaglio)

La mostra sarà visitabile fino al 3 giugno 2023, dal lunedì al sabato (orario 17-20).

Susanna Cati (Rieti 1961) si è formata presso l’Accademia di Costume e Moda di Roma. Preparatrice di oggetti scenici per il Teatro Argentina di Roma, diventa assistente stilistica per importanti aziende italiane e francesi. Dopo aver approfondito tutte le tecniche tessili si dedica a lungo alla progettazione e realizzazione di tappeti e arazzi, pezzi unici e collezioni di design in collaborazione con studi e aziende del settore. Da tempo però la sua ricerca è orientata nell’ambito della Fiber Art, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Svizzera, Austria, Russia, Regno Unito), in gallerie private e spazi istituzionali. Una sperimentazione sempre in fieri l’ha condotta a misurarsi anche con la dimensione del gioiello tessile e con progetti didattici e sociali.

Tra le principali mostre collettive recenti: “Micro, the different point” al MISP Museo Arte XX e XXI secolo di San Pietroburgo; “De rerum natura”, Canton Ticino, Svizzera; “Layers”, a cura di Erika Lacava, Scuderie di Palazzo d’Adda, Varallo Sesia (VC); “Sono tazza di te”, a cura di Anty Pansera, Casa Boschi Di Stefano, Milano; “TreArtisteQuattro”, Rocca di Umbertide Centro Arte Contemporanea, Umbertide (PG), a cura di Giorgio Bonomi; “Appunti su questo tempo”, Museo del Ricamo e del Tessile di Valtopina e CasermAcheologica di Sansepolcro; “The soft revolution” Museo del Tessile di Busto Arsizio (VA), Salone Italia del WTA World Textile Art; “Fiberstorming”, Aula EX Ateneo, Bergamo, evento inserito nelle manifestazioni di Bergamo e Brescia Capitali della Cultura; “Oltre il collage”, Museo Nori de Nobili, Trecastelli (AN). Sue opere sono in permanenza presso collezioni museali e istituzionali.

CATALOGO SCARICABILE QUI:

Festina Lente Studio o del restauro tessile: intervista a Elisa Monfasani

Una professione che richiede non solo un’alta specializzazione ma anche un talento innato, una sensibilità rara, l’attitudine alla cura, il senso della memoria e doti ormai ‘desuete’ come la lentezza e la pazienza. Elisa Monfasani mi ha condotto nel cuore di quest’arte che ha radici in un tempo antico e occhi che guardano al futuro.

Io: Come è maturata in te l’idea di dedicarti al restauro tessile professionalmente?

EM: Più che “idea” parlerei di “richiamo” per il mondo del restauro tessile. La passione per i tessili è nata casualmente e spontaneamente; arrivata al quinto anno di Liceo Artistico, come molti studenti non sapevo bene quale percorso universitario e/o lavorativo intraprendere. L’offerta era varia ma nessun indirizzo universitario mi dava l’idea di un futuro professionale.

Poi, a fine anno scolastico, poco prima della maturità, partecipai ad una conferenza indetta dal mio liceo dove furono invitati gli ex allievi che erano diventati personaggi “importanti e famosi” in un determinato settore, tra questi vi era anche una restauratrice di tessuti. Se fino a quel momento ignoravo completamente la possibilità di dedicarmi al restauro, dopo i suoi racconti rimasi completamente affascinata da quel mondo. Non so dirti il perché, si trattò per l’appunto di un “richiamo” se vogliamo vederla con una visione romantica. Iniziai così a prepararmi per i test di ammissione presso due importanti Scuole di Alta Formazione per il Restauro e la Conservazione e a settembre fui ammessa al Corso Quinquennale, percorso PFP 3 – Restauro Materiali e Manufatti Tessili e in Pelle presso la Scuola per la Valorizzazione di Botticino (Bs), Fondazione Enaip Lombardia ed iniziai così la mia avventura.

Io: Qual è stato il percorso formativo che ti ha condotta fino alla nascita del tuo laboratorio?

EM: Oggi in Italia ci sono un buon numero di scuole e università accreditate per la formazione di restauratori. L’insegnamento del restauro viene impartito dalle Scuole di Alta Formazione e di Studio del Ministero della Cultura (MiC), da Università, Accademie di Belle Arti e altri soggetti pubblici e privati, purché essi siano accreditati presso lo Stato.

È importante sottolineare che, sebbene gli istituti si differenziano per alcuni aspetti, tutti quelli accreditati al termine del percorso conferiscono agli studenti la nomina di Restauratore di Beni Culturali. Ciò vuol dire che dopo la discussione delle tesi si sarà automaticamente iscritti all’elenco dei restauratori presente nel sito del Ministero della Cultura.

Personalmente ho frequentato il Corso Quinquennale a Ciclo Unico Magistrale presso la Scuola Regionale per la Valorizzazione dei Beni Culturali di Botticino (Brescia) – Fondazione Enaip Lombardia (oggi con sede a Milano, Valore Italia srl), percorso formativo professionalizzante PFP3, che ha portato al conseguimento del diploma equiparato a laurea magistrale abilitandomi ad operare come Restauratore di Beni Culturali per i settori 4 e 6.

Io: Quanti e quali competenze e talenti sono necessari per occuparsi di restauri tessili?

EM: Cominciamo con la descrizione della figura del restauratore come professionista, secondo l’Art. 29 c.6 d.lgs 42/2004 e l’Art. 1 D.M. 26 maggio 2009, n. 86 solo un restauratore può intervenire fisicamente a scopo di restauro e/o manutenzione sui beni culturali mobili e sulle superfici decorate dell’architettura. Quindi non si parla di tutte le opere d’arte ma solo dei beni, privati e pubblici, su cui è stato posto un vincolo da una Soprintendenza (enti locali appartenenti al Ministero della Cultura) per il suo valore storico e/o artistico. Oltre ad operare fisicamente sul bene, il restauratore definisce lo stato di conservazione dell’opera, analizza i dati relativi ai materiali, progetta e dirige gli interventi e gli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. In aggiunta svolge lavori di ricerca e di didattica nel campo della conservazione.

Questa varietà di competenze necessita inevitabilmente di un’altrettanta varia quantità di conoscenze e abilità di base, fra tutte: accortezza e sensibilità manuale per far fronte alle difficoltà nell’operare su beni artistici, anche di pregio; esperienza e familiarità con le tecniche e i materiali impiegati nel restauro; nozioni di chimica e fisica applicate a questo settore, quindi saper leggere ed interpretare i dati delle indagini diagnostiche e conoscere i fenomeni naturali che sono alla base del degrado e del restauro dei manufatti; competenze storico-artistiche per essere in grado di contestualizzare un’opera e quindi dedurne le tecniche artistiche o i materiali; preparazione di base riguardante le norme che governano i restauri e i beni culturali.

A seconda del settore di competenza il restauratore si specializza quindi nello studio della propria materia, acquisendo competenze specifiche. Nel mio caso, in quanto Restauratore di Beni Culturali specializzato nei settori 4 e 6, durante il periodo di formazione ho appreso elementi specifici di storia delle tecniche artistiche dell’arazzo, del tessuto, del tappeto, del cuoio e della pelle nelle diverse epoche storiche, storia della moda e del costume, tessitura, merceologia dei filati e dei tessuti, chimica tintoria, diagnostica applicata ai manufatti tessili ecc… solo per citarne alcuni.

Io: Quali sono i tessili di cui ti occupi più frequentemente?

EM: Dove c’è fibra tessile, filato, intreccio, materiale organico e pelle ci siamo noi! Nel nostro studio abbiamo operato su diverse tipologie di manufatti, da quelli più “classici” come gli arazzi antichi e contemporanei, ai tappeti e tessuti come ad esempio parati sacri, abiti d’epoca di tradizione europea ed orientale, divise militari, oggetti d’arredamento come sedute, poltrone, paralumi e paraventi fino agli oggetti d’uso come i bauli da viaggio in cuoio e pelle.

Io: Quali sono i tempi che richiedono in media i restauri?

EM: Rispondere in termini di tempistiche generali sarebbe riduttivo e fuorviante. Ogni opera d’arte a seconda dei materiali di cui è costituita, della tecnica esecutiva, delle dimensioni, dello stato di conservazione, dell’uso finale e dalla metodologia di intervento (messa in sicurezza, manutenzione, restauro conservativo e integrativo) richiedono tempi di esecuzione che possono variare da alcuni giorni e settimane fino addirittura ad anni. Sicuramente, il restauro tessile richiede una particolare “attitudine all’attesa”, per citare una frase della mia docente di restauro, la prof.ssa Elisabetta Boanini. E’ un lavoro caratterizzato da tempistiche e metodologie che vanno controcorrente rispetto la velocità tecnologica a cui siamo abituati. Con questo non voglio dire che non ci sia innovazione, strumentazione e tecnologia all’avanguardia anche nel restauro… solo che la prassi dell’ago e del filo ancora non è stata sostituita da nessun mezzo che non sia la mano del restauratore.

Io: Qual è la parte più appassionante di un restauro e quale la più complessa?

EM: Le fasi più complesse sono quelle che portano poi alle soddisfazioni più grandi. Sicuramente il primo approccio all’opera d’arte è quello più complesso in quanto è necessario “leggere” ed analizzare il manufatto per tarare poi la metodologia da impiegare durante l’intervento. Ma non solo ,ci sono alcune fasi, come ad esempio  la pulitura e il lavaggio che sono considerate operazioni che possono avere effetti irreversibili sull’opera d’arte e quindi sono particolarmente delicate.

La parte più appassionante è data proprio dalla complessità di questo mestiere; ciò nonostante confesso che vedere il prima e il dopo il restauro, soprattutto se questo si è rivelato molto lungo e laborioso, da una soddisfazione incredibile.

Io: Qual è stato il restauro più impegnativo e/o che ti ha dato maggiore soddisfazione tra quelli che hai affrontato finora?

EM: Sicuramente il primo restauro non si scorda mai, nel nostro caso è stato il restauro conservativo di un arazzo fiammingo seicentesco di proprietà privata. Il restauro più “impegnativo” in termini di varietà di oggetti, tempistiche e organizzazione del lavoro ma anche altrettanto soddisfacente e gratificante per quanto riguarda l’esperienza professionale ed umana è stata quella che mi ha visto impegnata, insieme alle mie colleghe Tecniche del Restauro Emanuela Fistos e Beatrice Campanella, nei lavori di manutenzione, restauro e allestimento della collezione permanente di abiti e cimeli militari di epoca garibaldina (e non solo) del Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia inaugurato nel gennaio a 2023 a Brescia, dopo più di vent’anni di chiusura.

Io: Mi racconti come si svolge un restauro tipo?

EM: La teoria del restauro prevede che vi siano delle fasi / schede tecniche standard che devono essere seguite, poi la metodologia viene puntualmente tarata a seconda delle peculiarità dell’opera. Comunque sia vi è la fase delle indagini preliminari che permettono di conoscere l’opera da un punto di vista materico, tecnico, conservativo, storico-artistico e chimico fisico (nel caso in cui siano eseguite delle analisi diagnostiche invasive e/o non invasive). Dopodiché vi è la fase di pulitura (di tipo meccanico e/o fisico/chimico), le pratiche di manutenzione / restauro e conservazione ed infine la predisposizione dell’opera al trasporto/ immagazzinaggio/ esposizione temporanea o permanente.

Come dicevo le fasi possono essere condensate e/o ampliate con ulteriori sottofasi a seconda di quelle che sono le caratteristiche e la tipologia di opera d’arte.

Io: Quale suggerimento daresti a chi avesse in casa un tessile da restaurare (ad esempio come si deve procedere per valutare il rapporto tra costi e valore del pezzo; c’è la possibilità di avere una consulenza anche a distanza; qual è il range di spesa per un restauro, ecc.)?

EM: Infondere l’importanza della conservazione di un tessile al “comune” cliente non è mai una missione semplice; credo che uno dei compiti più ardui di noi restauratori sia quello di divulgare l’importanza della prevenzione, della manutenzione e del restauro anche tra la clientela privata “non addetta al settore”. Mi spiego meglio… In una società come la nostra dove molto spesso si ha la tendenza a scartare un oggetto malfunzionante o rovinato e comprarlo nuovo, far comprendere che alcuni oggetti d’uso quotidiano come tappeti, tessuti, abiti ecc… possono essere restaurati e valorizzati per trasmetterli ai posteri diventa una questione socio-culturale complessa. Soprattutto perché molte volte il valore storico-artistico e/o economico di un’opera tessile può essere anche inferiore rispetto al valore economico del restauro e l’intervento può essere giustificato solamente dal forte valore affettivo e personale che il cliente ha per quel dato oggetto.

Il mio consiglio è quello di rivolgersi sempre a personale specializzato ed evitare “pratiche fai da te”, fortunatamente oggi la tecnologia ci rende tutti connessi e vicini nonostante le distanze in termini di chilometri. Noi come studio offriamo, ad esempio, un servizio gratuito di valutazione dello stato di conservazione, proposta di progetto di intervento e preventivo dei costi anche a distanza. Il cliente deve solamente fornirci le dimensioni dell’opera e registrare gli elementi tecnici (che noi gli indichiamo) attraverso documentazione fotografica e video, così da delineare in via preliminare l’intervento da svolgere.

Io: Quali sono buone pratiche per la conservazione dei tessili?

EM: Ti rispondo con due parole: prevenzione e cura.

Io: Scrivi di restauro anche sul magazine specializzato ArteMorbida. Cosa racconti nei tuoi articoli?

EM: La mia mission in ArteMorbida è quella di portare la “matericità” degli oggetti d’arte a contatto con il lettore; l’osservazione del “micro”, degli aspetti merceologici dei manufatti tessili, sono, infatti, fondamentali per accedere al “macro”, alla comprensione dell’opera d’arte nella sua totalità e gli interventi di restauro. Nello specifico, mediante i miei articoli divulgo la conoscenza del restauro tessile, aggiornando i lettori delle novità inerenti gli interventi attuali.

Io: Tre aspetti che ami del tuo lavoro?

EM: L’apertura di “Festina Lente Studio”, il Laboratorio di Restauro Tessile di cui sono titolare insieme ad Emanuela Fistos, rappresenta la soddisfazione più grande del mio lavoro in quanto incarna proprio tutti gli aspetti che di questo amo di più, che sono: la “connessione” e la collaborazione con diversi colleghi e  professionalità (restauratori, artigiani, chimici, fisici, biologi, storici dell’arte, funzionari ecc…) intesa come occasione di crescita professionale ed umana; l’ “affrettarsi lentamente” come modo di operare ed agire ed infine il privilegio di venire a contatto con pezzi unici della storia.

Ricamo e fotografia contemporanea in mostra a Perugia

Inaugura sabato 6 maggio 2023, alle ore 17, “Appunti di fotografie” la nuova mostra proposta da SCD Studio di Perugia (via Bramante 22N) curata da Giorgio Bonomi, con opere di Federica Bernardi, Nadia Frasson, Paola Rizzi, Natalia Saurin e Beatrice Speranza.

Una mostra che – scrive Bonomi nel testo in catalogo – presenta cinque artiste che operano con la “fotografia” e con il “ricamo” ed è da sottolineare che, come la fotografia ha superato l’essere mera riproduzione della realtà ed è diventata molto di più sia come poetica sia come tecnica, da poter dire che essa è una “materia” e una “modalità” esecutiva come la tela e la pittura o il marmo e la scultura, così il “ricamo” per le/gli artiste/i – il ricamo artigianale, finanche di qualità eccelse, è un’altra cosa – è un procedimento per la creazione dell’opera. Le artiste, al di là di certi aspetti comuni, si presentano ognuna con il suo stile e la sua poetica: abbiamo chi realizza autoritratti, chi fotografa ambienti naturali, chi si serve di fotografie “trovate” (per esempio, cartoline). Nei contenuti espressivi vediamo i luoghi abbandonati, sul genere della Woodman, riflessioni sulla spiritualità sul corpo, proprio e altrui, sulla memoria, sulla comunicazione con se stesse e con gli altri. Ovviamente tutte le artiste intervengono con il filo (e l’ago) sul materiale fotografico prescelto e anche qui notiamo le differenze che sono cromatiche e compositive, infatti alcune usano il ricamo come “segno” altre come “immagine” e questa, in certi casi, può raffigurare elementi fisicamente “reali”.

Il progetto di Federica Bernardi è ispirato all’omonimo film degli anni ’20, “Freaks”, i cui protagonisti erano “freaks on the leash” – i cosiddetti “fenomeni da baraccone” – articolato in una serie di fotografie stampate su tela su cui successivamente l’artista è intervenuta con rilievi e ricami. Qui le donne vengono riportate con alterazioni evidenti del corpo, esagerando alcune caratteristiche che la società ci impone, evidenziando altri dettagli ritenuti invece poco rilevanti.

Nadia Frasson

Con ago e filo, Nadia Frasson racconta invece il suo presente e attraverso la fotografia esplora il suo corpo, ne scruta i cambiamenti stupendosi di trovare poesia in quello che agli occhi della società attuale é un difetto da nascondere. Le pieghe, le rughe, i segni del tempo diventano fulcro della sua ricerca. Sovrappone, strappa, avvicina e ricama. Un gioco che è racconto, che diventa armonia sotto i suoi occhi. Tutto, anche il dolore più grande si appiana e con ago e filo narra una storia che la accompagna e che ama condividere.

Paola Rizzi | La scatola della memoria

Con “La scatola della memoria”, Paola Rizzi propone un dittico nel quale si contrappongono immagini di texture di muri scrostati di luoghi a lei cari ad autoritratti dove la figura della fotografa appare evanescente pronta ad uscire da memorie lontane, da ricordi sbiaditi. Rizzi invita a trattenere i ricordi e a conservali, una sorta di terapia del ricordo che passa attraverso suoi momenti per divenire universali invitando all’azione chi entrerà in possesso del box ad arricchirlo con le sue memorie. Dietro ad ogni dittico, stampato su una delicatissima carta di riso (simbolo stesso della fragilità) e abbinato ad una cartolina in pregiata carta cotone (simbolo del valore materico) sono state poste dieci cartoline vuote dove invita a lasciare i ricordi personali.

Natalia Saurin | Ti amo troppo

Natalia Saurin espone un progetto iniziato durante il lockdown quando in cui è intervenuta su alcune cartoline vintage dedicate all’amore o, meglio, agli stereotipi sull’amore. Queste cartoline incarnano tra l’altro un desiderio di corrispondenza assoluta e unica (“come il nostro amore”), l’ideale di amore romantico che è spesso alla base di relazioni non equilibrate, non sane, talvolta violente. Pur comprendendo anche aspetti positivi, esso ha finito per identificarsi con il patriarcato. Con ago e filo Saurin ha cercato di fare emergere energie sottili in una rappresentazione dove tutto sembra immobile, dove il tempo è congelato come in una fiaba, infinito come l’amore romantico che nell’ideale immaginario a cui fa riferimento non conosce limiti nemmeno dopo la morte.

Ispirata dal Monte Bianco e dalle vette slanciate verso il cielo, Beatrice Speranza ha rintracciato in quel paesaggio la presenza sia della spiritualità maschile che di quella femminile, due modi diversi di esprimersi, di percepire il divino: la prima manifestata negli spazi aerei del cielo, senza forma né confini, al di là della realtà fisica, lontana, perfetta ci invita ad alzare le nostre prospettive; la seconda identificata con la realtà tangibile e visibile, ancorata alla terra di cui è parte, concreta, radicata nella materia e raggiungibile, ci aiuta a connetterci con l’esperienza della vita, a trasferire il sacro nel quotidiano. Due vie spirituali differenti e al tempo stesso complementari. Con le sue foto ricamate, Speranza indaga su questa dualità: il desiderio di elevazione e allo stesso tempo la sacralità della natura, della madre terra. Speranza porta il cielo alla terra, e lega entrambi in un abbraccio nel desiderio di unione.

La mostra sarà visitabile fino al 3 giugno 2023.

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Elisabeth Tronhjem: in dialogo tra tempo e materia

Di Elisabeth Tronhjem mi incanta da molti anni la sua capacità di estrarre dalla pietra e dal marmo l’eco della natura e le voci di un’umanità plurale, una polifonia che sintetizza in forme che coniugano il rigore delle geometrie minimaliste nordiche con la morbidezza della luce del Mediterraneo.

Tutto di lei entra nelle sue opere, ad esempio il suo nomadismo stanziale che le consente di assorbire (e restituire) nella libertà della non appartenenza ad un solo luogo e ad una sola cultura, la pluralità delle esperienze umane in una sintesi che è tensione fra individuale e universale: ogni umana connessione – con la natura, con l’ambiente circostante, con l’altro da sé – diviene testimonianza personale e al contempo elemento di un cammino condiviso, un itinerario comune a tutti gli esseri viventi in cui il perenne fluire del ciclo della vita è declinato.

È lei stessa a definire la sua arte “(…) Alfabeto della vita. La natura e la vita. Realtà e teatro, Entità entro cui circolano la proiezione della fantasia, le sublimazioni dell’idea, la sostanza della percezione, la determinazione del concetto, l’idea-forza della bellezza, le categorie e i fermenti del pensiero. La tensione verso l’assoluto.”

Sono tornata alla sua casa-studio sulle tracce di un filo – letteralmente – che da qualche tempo compare in un nuovo corpus di lavori in cui sperimenta materiali di recupero e di scarto, assecondando una narrazione stratificata della memoria, della Storia e delle storie, che rispecchia le sale che una dopo l’altra ospitano la collezione delle sue sculture, gli attrezzi e i materiali da lavoro e la sua quotidianità domestica senza soluzione di continuità in una simbiosi che si dipana sullo sfondo di un passato che questi ambienti raccontano nei dettagli architettonici e decorativi.

ph.credit Filippo M.Gianfelice – courtesy l’artista

È una ricerca che ha intrapreso da qualche anno, interrotta dagli eventi sismici del Centro Italia del 2016 che l’hanno costretta ad un pellegrinaggio fuori da questi spazi, benché comunque mai abbandonata e anzi ripresa con rinnovato interesse in tempi recenti.

Compaiono dunque, come dicevo, tra pezzi di legno e di ferro arrugginito, tra vecchie valvole e frammenti di pavimento, brandelli di stoffe e fili di varia natura (cotone, lino, metallo) a definire percorsi e legami tra i diversi elementi che compongono una teoria di creature ibride in bilico tra maschere, alieni e un immaginario fantastico che attinge alla dimensione onirica e inconscia quanto a quella più arcaica radicata nell’infanzia. Sculture assemblate da una varietà di materiali che sorprendono l’osservatore spuntando tra il nitore delle sorelle in marmo, in pietra, in gesso. Complementari al rigore cromatico di quest’ultime con la loro identità incerta, oppongono i segni della fragilità e della caducità degli elementi che li compongono alla durezza e durevolezza dei minerali.

Se a lungo Tronhjem ha affidato alla memoria ancestrale della terra conservata nella pietra il segno e il gesto artistico, oggi è alla consapevolezza della mutevolezza inarrestabile della materia che rivolge la sua riflessione, indagando attraverso di essa la parabola vita-morte-vita. È un dialogo nuovo tra l’artista e il tempo: tempo che tutto trascina con sé in un dinamismo che è sinonimo di una perenne metamorfosi che non ha inizio e non ha fine. L’opera diventa dunque evocativa di una narrazione stratificata e polisemica, depositaria di memorie che la materia custodisce e che l’arte sottrae all’oblio: l’istante può infine sfuggire alla sua cifra effimera poiché l’arte può infondergli un granello di eternità.

In questo antico palazzetto nobiliare con una vista impagabile sul borgo antico e sulla piana reatina, immerso in una natura a tratti selvatica cui fa eco la materia addomesticata da una pratica artistica certosina che abita le molte stanze e i diversi piani, ho attraversato in una manciata di ore oltre trent’anni di studio, lavoro, sperimentazione, vita di questa artista che è ciò che crea.

Tutto dentro e intorno a Elisabeth è Elisabeth. Per lei creare è una spinta da cui non può prescindere. La sua ricerca trova nella verità dell’arte la sua fonte e il suo destino, alimentata dall’esplorazione delle possibili connessioni tra gli opposti, di un punto di equilibrio in cui nulla e tutto coincidono, sempre – però – nell’esaltazione dell’imperfezione che è la caratteristica della meraviglia, dell’unicità e dell’irripetibilità, premessa indispensabile per continuare ad indagare oltre l’orizzonte visibile e conosciuto.

Chi è Elisabeth Tronhjem

Elisabeth Tronhjem (Heldum, Danimarca, 1956) si è formata presso la Royal Danish Academy of Fine Arts con il professor Willy Ørskov. Vive e lavora tra Italia e Palma di Maiorca. Tra le mostre personali: Las piedras que respiran Centre D’Art Sant Bernat, Cami Real, Monestir de la Real, Palma de Mallorca; Skulptur og tegning, Holstebro Kunstmuseum; “Forme astratte, figure incastrate”, AOC F 58, Roma.

E tra le innumerevoli collettive: Venti artisti fra Ricerca e Polivalenza dell’immagine, Palazzo Farnese, Ortona; Katalogos Rassegna d’arte Contemporanea, Museo Nazionale D’Abruzzo, Castello Cinquecentesco, L’Aquila; Orizzonte Plurale, Museo della Carta e della Filigrana, Fabriano, AN; Dialogo con la Materia, Chiesa di S. Maria di Realvalle di S. Pietro di Scafati, Napoli; Mostra Internazionale di Scultura Contemporanea, Museo di Scultura, Fregene RM; Presenze, artisti stranieri oggi in Italia, Centro Espositivo della Rocca Paolina, Comune di Perugia, Patrocinio Ministero degli Esteri, Ministero dei Beni Culturali; Kammeraterne Den Frie, Palazzo delle Esposizioni, Copenaghen; Skulptur Nu, Århus Kunstbygning, Århus; Skulptur i parken, Kalmar Kunstmuseum; Festsalen Charlottenborg, Kongens Nytorv, Copenaghen; Le donne i cavalier l’arme gli amori e l’Arte, Palazzo Orsini, Bomarzo; Tre Civette sul Comò, Musei di Villa Torlonia, Roma; XLIV Premio Sulmona, Rassegna internazionale d’arte contemporanea, edizione Bimillenario Ovidiano, Polo Museale Civico Diocesano, Sulmona; Prospettive del Terzo Millennio, MACA – Museo Arte Contemporanea Acri, Palazzo Sanseverino-Falcone, Acri CS.

Tra i Premi, ha vinto il De Neuhausenske Præmier (1981), il XLIV Premio Sulmona (2016) e il Premio Centro (2019)

Una sua scultura monumentale – un cubo in bronzo articolato in diverse sezioni dal titolo “Parte e totalità – è in permanenza nella Sala del Consiglio Comunale nel Municipio di Holstebro, Danimarca.

FRAMMENTI: Koro Ihara e Giulia Spernazza in mostra a Roma

Sabato 6 maggio la galleria d’arte FABER presenta FRAMMENTI, mostra bipersonale di Koro Ihara e di Giulia Spernazza, a cura di Cristian Porretta.

Giulia Spernazza, Universal clothes hanger, 2022. Used clothers, concrete. 140 x 200 x 30 cm


Accomunati dal profondo rapporto con la materia, vengono posti in un dialogo estetico-armonico, che ne sottolinea le divergenze culturali e concettuali, oltre a evidenziarne i punti di contatto.
Lo spazio appare spaccato a metà, alla ricerca di un confronto a specchio che accentui le rispettive prospettive sensoriali e tecniche.
I lavori risultano essenzialmente tridimensionali, sculture e installazioni caratterizzate dalla contaminazione di materiali: schegge, frammenti cromatici che si compongono e scompongono in stati emozionali.

Koro Ihara-dyeing-red, cocciniglia su seta 90 x 90 cm

Koro Ihara (Osaka 1988) espone i lavori del progetto MADE IN THE GROUND: terra fecondata da lombrichi, smaltata d’oro e cotta a ottenere un effetto tra la ceramica e la terracotta. La serie CYCLING: escrementi di animali lavorati a caldo con urushi. Le recenti opere del ciclo DYEING: cocciniglia ed escrementi di baco da seta su seta.
Il concetto artistico di Koro Ihara si muove attraverso l’indagine biologica legata al ciclo vitale; i materiali viventi e organici vengono sublimati mediante antiche tecniche scultoree, utilizzando elementi di chiara matrice nipponica. L’artista cerca tracce e sottoprodotti di organismi viventi, li unisce e lavora con tecniche tradizionali per creare sculture. Nelle opere della serie DYEING visualizza il colore come atto che trapela dalla vita raccogliendo le cocciniglie e i bachi da seta, risale alle origini della natura e del colore, prendendo coscienza del momento in cui il colore nasce per poi essere restituito alla materia.

Giulia Spernazza, Universal clothes hanger, 2022. Sacche, indumenti, cemento bianco. Ph Manuela Giusto

Giulia Spernazza (Roma 1979) presenta un estratto della sua ultima ricerca, iniziata nel 2020. Sculture e installazioni realizzate lavorando sull’interazione con vari materiali: cemento, cera, siporex, indumenti usati. L’artista indaga il concetto di casa, ricostruzione e intimità, esplorando l’idea dello spazio come estensione di noi, declinandone la sintesi tra ambiente esterno e interno, tra contenitore e contenuto.
La materia intrisa di ricordi, di anni trascorsi ed esperienze evoca la quotidianità presente in ogni angolo di mondo, microcosmi diversi uniti dagli stessi gesti che fanno parte dell’esistenza di ciascuno. Il filo conduttore delle opere è affidato all’utilizzo di frammenti solidi e morbidi intrisi di legami, memorie, storie stratificate.
Nel creare prende idealmente e concretamente a prestito elementi che appartengono a coloro che vivono nel medesimo spazio, singole identità e realtà trascese attraverso l’immersione di ogni Pammento nel cemento bianco, materiale che intende porre i lavori fuori dal racconto di vicende specifiche per proiettarle in una dimensione assoluta.

Giulia Spernazza, Universal clothes hanger,dettaglio 2022. Sacche, indumenti, cemento bianco. Ph Manuela Giusto

La mostra sarà visitabile dal 6 maggio al 29 luglio 2023, dal martedì al sabato (orario 10:00-19:00 domenica su appuntamento) alla Galleria d’Arte FABER, via dei Banchi Vecchi 31, Roma (info tel 06 68808624 galleriadartefaber.com info@galleriadartefaber.com)