Magdalena Fermina

Artista visiva e performer, Magdalena Fermina ha sviluppato nel corso degli anni anche una ricerca che trova nel medium tessile – in particolare nel ricamo – il suo linguaggio espressivo. L’ho incontrata durante l’allestimento del recente intervento al Borderline Festival di Varallo Sesia, un progetto che conclude un’estate in cui le sue opere sono state in mostra in ambiti internazionali – come a L’Aquila per LUCO. Ed ecco cosa ci ha raccontato.

Quando e perché nell’ambito di una ricerca artistica concettuale sono entrati ago e filo?

Credo che il primo lavoro nel quale ho utilizzato ago e filo sia del 2007, si tratta di un unicum, che ho realizzato di getto, una mia fotografia sulla quale sono intervenuta con ago, filo, pezzetti di stoffa, in un momento della mia vita in cui avevo un bisogno davvero vitale di “guarirmi”, per avere il coraggio di effettuare un cambiamento radicale…  L’ho esposto una sola volta, nel novembre 2007, a Studio Dieci, a Vercelli, nella collettiva Collezione UNO: identità raccolte archivi cassetti, evento collaterale alla mostra Peggy Guggenheim e l’immaginario surreale. Qui le cuciture volevano richiamare le scarnificazioni africane, ho ricordato anche la mia esperienza in Mozambico, risalente ad una quindicina di anni prima…

Quindi sì, potrei rispondere a questa domanda: quando, nel 2007 e perché, per guarire; poi non ho utilizzato più ago e filo fino al 2009, quando, per una mostra intitolata One Planet, a Rieti, a Palazzo Marcotulli, ho realizzato l’opera Hanno mangiato l’anima degli antichi, avevo ricamato con piccoli punti rossi l’immagine della parte mancante del Colosseo, quella usata nel Rinascimento come cava di pietra. Avevo anche posizionato al centro un piccolo specchietto, per coinvolgere più facilmente l’osservatore – fruitore. Questo lo definirei un esperimento… durante il quale ho scoperto che con ago e filo si poteva evidenziare, o nascondere, immagini, parti di immagini.

Durante la mia ricerca artistica ho sempre usato i materiali più diversi, esprimendomi soprattutto con installazioni, a volte con performance; ricordo che all’esame finale del corso di scultura, a Brera, il prof. Gallerani, con il quale avevo fatto uno splendido percorso, insistette per darmi una valutazione finale di 109/110, e non il massimo dei voti, proprio perché “non usavo i materiali canonici della scultura”…

Qual è stato il primo corpus di opere – in cui hai lavorato con il medium tessile?

Il primo ciclo di lavori è anch’esso del 2009, si trattava di sette stampe di DNA e gangli nervosi ricamate con filo rosso presentati su stendardi simili a preghiere, titolo dell’opera, È adesso. Questo ciclo è stato esposto in diverse sedi, tra cui il Museo Borgogna di Vercelli, la Galleria San Marco di Novara nella collettiva Diari, con Carla Crosio e Max Bottino, curata da Lorella Giudici, che sul mio lavoro aveva scritto nella presentazione del catalogo: “Nelle opere dell’artista ancora si incontrano i segni, ma questa volta sono segmenti tessuti con ago e filo, sono innervamenti incandescenti in un mondo tutto bianco e grigio. Le sue opere sono delicate, silenziose, sono preghiere sussurrate, o meglio, cucite su lunghi e candidi teleri e lasciate sventolare come bandiere fuori da un monastero. Non più tormento, angoscia e rabbia, ma attesa, concentrazione e desiderio di pace. Un appagamento che si trova solo alla radice dell’uomo, dentro le sinapsi di un sistema che cerca di rendersi immune, di fortificare i propri tracciati, troppo sottili e labili, con una trama di vividi punti rossi e forti. Perché, come dice Chagall: tutto il nostro mondo interiore è realtà, esso è forse più reale del mondo visibile. Se si definisce fantasia o favola tutto ciò che appare illogico, si dimostra soltanto di non aver capito la natura”.

È ADESSO | Santa Chiara | Vercelli

Il ciclo è stato poi esposto in un evento collaterale della biennale di Venezia del 2009, Castello delle Polveri, Isola della Certosa, nella collettiva Natura Snaturans, a cura di Angela Madesani, e nella Chiesa di Santa Chiara di Vercelli, per l’evento BrainArt.

Ma Il ciclo che più amo, e che più mi ha dato soddisfazione è però Nuntius Dei… gli “angeli cuciti”, presentati come fotografie di angeli, che, tramite filo da sutura, vengono bloccati da tenaci cuciture sulla tela, per indicare come, in quest’epoca dove forse mai prima d’ora l’uomo è lontano dal divino, gli angeli hanno perso la capacità di svolgere i loro compiti fondamentali: annunciare la salvezza, confortare, custodire, lodare. Questi divini messaggeri giacciono come strani ex voto abbandonati nel santuario dell’oblio, relitti delle speranze sovrannaturali alle quali l’uomo contemporaneo si affida sempre meno.

Un ciclo che nel mio curriculum è abbastanza marginale, ma che adesso vorrei riprendere, è quello degli “edifici cuciti”, iniziato cucendo, bloccando palazzi che avevo visto durante un viaggio nei Balcani, soprattutto in Bosnia e Serbia, dove ancora si vedevano i danni della guerra. Avevo ampliato poi il ciclo con altre costruzioni di Novara e provincia, che avevano storie molto particolari. Anche qui, l’idea era venuta in seguito all’invito di partecipare alla collettiva Cities, il titolo del mio lavoro era Sweet Homes.

Che significato ha per te l’utilizzo delle tecniche o dei materiali tessili?

Ho avuto la meravigliosa fortuna di essere stata cresciuta da due prozii, la zia nata nel 1905, lo zio nel 1907, entrambi operai tessili di una manifattura dalla storia straordinaria e più che centenaria, la Passamani di Novara. La zia era maestra di telaio, lo zio cordoniere, ed avevano preso casa proprio accanto alla fabbrica, sono cresciuta sentendo il rumore dei telai, sentendo parlare di campionature, spolette, trame ed orditi; mia zia mi insegnò ad usare un piccolo telaio a mano…

Recentemente, ho ricostruito e pubblicato la storia della fabbrica, cercando ed intervistando alcuni operai ed operaie che avevano “incrociato” i miei zii nella loro vita lavorativa (i miei zii prossimi alla pensione, loro quasi neo assunti). È stato davvero emozionante, ho incontrato anche l’attuale proprietario, che ha salvato in extremis la fabbrica dalla chiusura, acquistandola, una ventina di anni fa, e permettendo così agli operai di conservare il posto di lavoro. Una persona davvero eccezionale.

work in progress – ricamo bianco su bianco

La tecnica del mezzo punto, inoltre, ha sempre avuto su di me un effetto ipnotico, particolare, quando ricamo davvero mi isolo dal mondo, ho l’obiettivo di finire il lavoro, e questo dà uno scopo a quel tempo.

Ho avuto anche un periodo in cui ho fatto lavori di knitting art… mi sono divertita a rivestire con pezze di lane coloratissime oggetti d’arredo urbano e non, coprendo ed occultando per in realtà sottolineare ed evidenziare.

Nuntius dei – UNCLASSIFIABLE – Todi, Sala delle pietre

Come nasce una tua opera o un tuo progetto?

Direi che sono le idee che cercano me, nei momenti e nei luoghi più diversi. Per esempio, un mio nuovo progetto, al quale stavo pensando di dare una forma già dà un po’ di tempo, ma mi mancava il modo: l’ho “incontrato” al supermercato, sugli scaffali erano esposte confezioni di pasta Agnesi, subito mi venne in mente lo slogan degli anni ’80 – “Silenzio, parla Agnesi” – ed è stata fatta, ho avuto subito tutto il lavoro in mente, già installato!

NUNTIUS DEI

Il progetto degli “angeli cuciti” è nato dall’amicizia con un fotografo professionista, che al tempo stava facendo un rilievo fotografico del cimitero di Novara. Io ero affascinata dalle vecchie foto sulle tombe, e da lì nacque un altro progetto, quello delle Anime, poi durante i nostri giri per i viali notai le sculture degli angeli, e mi sembravano così sofferenti, tristi: volli dare un abito a quella sofferenza.

Ricordo anche come erano nati gli edifici cuciti, in Serbia, di fronte a questo palazzo, un tempo sicuramente residenza di nobili, o borghesi, oramai inservibile, semi sommerso dalla terra, ho avuto la chiara visione di vederlo “cucito”; il resto poi venne da solo…

EDIFICI CUCITI | Fondazione Materima | Casalbeltrame, Novara

Quali sono le tue fonti di ispirazione? Quali i temi e le istanze all’origine della tua ricerca artistica?

Le fonti, i temi, davvero i più diversi, mi aiuta anche il mio lavoro di insegnante di storia dell’arte, che mi permette di approfondire tanti argomenti lavorando con i ragazzi, dai quali spesso imparo molto. Anche il rispondere agli argomenti proposti dai vari curatori delle diverse mostre a cui partecipo è sempre un’occasione per crescere e riflettere sulle problematiche del contemporaneo.

Come è cambiato il tuo lavoro e la tua ricerca nel corso del tempo?

Non lo so, non ci ho mai pensato, credo di non essere in grado di rispondere, non sono capace di guardare il mio lavoro dall’esterno; a volte giudico alcuni miei vecchi lavori davvero puerili, altre volte mi capita di guardare per caso cataloghi di mostre passate e di pensare: accidenti, quel lavoro non era mica poi male…chissà perché non l’ho continuato!

EDIFICI CUCITI | Serbia

Cosa significa per te essere un’artista?

In realtà non mi considero tale: credo che tantissimi di noi abbiano parti artistiche, creative. Ogni tanto vado a pranzo in un circolo, in Valsesia, la banconiera, una signora già in là negli anni, ha abbellito il locale con strani oggetti, lavori con una sorta di cartapesta che ha inventato lei utilizzando vecchi vestiti, oggetti che trova in giro e che, a suo modo, innalza a dignità di opera d’arte. I suoi piatti, sempre diversi, sono davvero dei quadri, ornati con fiori, erbe, ciò che ha, ciò che trova. Sono davvero molto belli, possono essere considerati, a mio avviso, come dei mandala, che vivono il tempo per essere distrutti dopo le installazioni, che vivono nel tempo che il pubblico interagisce con essi, così anche quei piatti vivono nel momento di essere ammirati, per poi essere mangiati ed entrare a far parte dell’osservatore-fruitore!

Che ruolo ha l’arte nella società contemporanea secondo te?

L’arte è, da sempre, cartina di tornasole della società, anche se per leggere ciò che ci dice occorre che trascorra del tempo, anche qualche decennio. Penso che anche l’arte di questi anni abbia molto da comunicare, come sempre nella storia, ma che occorrerà attendere del tempo per leggerne il messaggio.

NUNTIUS DEI | Palazzo Medici | Firenze

Quali sono le maggiori difficoltà del ‘fare l’artista’?

“L’arte è gratis” è stato il titolo del catalogo edito per il trentennale (1971-2001) di Studio Dieci di Vercelli. Un titolo che voleva essere ironico, ma che è anche tanto vero.

L’arte, oltre che essere valorizzata, dovrebbe essere promossa anche economicamente attraverso interventi pubblici, in modo che gli artisti possano essere retribuiti per il proprio lavoro, se vale.

È un po’ il problema di molte delle professioni legate alla cultura, che soffrono anche dell’informatizzazione che ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere.  Per esempio, oramai più di trent’anni fa, quando iniziai la professione di giornalista, ogni articolo, ogni fotografia corredata erano ben retribuiti, ora, non vorrei scadere nella banalità, ma chiunque può scattare una foto ed inviarla ad un giornale davvero in tempo zero.

BIANCO SU BIANCO | Segno ZEN

Progetti per il futuro?

Sì, ho questo progetto che si dipanerà in due parti, bianco su bianco e nero su nero, volte ad illustrare la situazione spirituale che in questo momento a mio avviso stiamo vivendo, cioè il superamento di un’illusione, di una visione deformata della realtà, lo scioglimento da un influsso magico che affonda le sue radici negli anni ’60 del secolo scorso, rapportata a chi questa disillusione la sta vivendo in questo momento. Si intitolerà “Disenkanto”. Si tratta sia di ricami a mezzo punto, sia di cuciture libere. Il ricamo a mezzo punto è molto regolare, lo amo molto per la sua solidità, per la sua sicurezza, le mie cuciture libere invece vogliono ricordarmi la bambina che ero, quando muovevo i primi passi in questo mondo; mi piace ricordare le parole di un mio caro amico, ingegnere meccanico, che con infinita pazienza aggiustava i pezzi rotti dei telai ottocenteschi di Passamani: “Eh, il tessile è una brutta malattia: quando ti prende, ti entra dentro e non te ne liberi più!”.

EDIFICI CUCITI | Novara | Bovindo, dove ci si affacciava vestiti come per uscire (le donne non potevano uscire da sole)

Una opinione su "Magdalena Fermina"

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora