Flowerstan: Elham M. Aghili allo Spazio Cappellini per Fuorisalone Milano

Un’esperienza a tutto tondo, un’immersione nel design puro, essenziale, concreto. Una vera e propria Experience Cappellini. Così il marchio guidato dall’art director Giulio Cappellini immagina il suo concept espositivo in occasione della Milano Design Week. Un microcosmo che sa sintetizzare le evoluzioni della società contemporanea, consolidando la propria identità: attraverso un dialogo ben riuscito fra arredi di oggi e di ieri il brand interpreta le architetture domestiche di tutto il mondo. Cappellini 2024 racconta una sofisticata normalità che si traduce in ricerca, innovazione e coraggio: era già Matisse, infatti, a dire che la creatività vuole coraggio. Lo showroom di Via Borgogna, nel cuore del Durini District, si trasforma per l’occasione nella cornice di un set suddiviso in poetiche isole nelle quali sono esposti prodotti della nuova collezione e le riedizioni, in un continuum concettuale ed estetico. La rilettura emotiva e attualizzata di pezzi del passato non rappresenta mancanza di idee, bensì una celebrazione della propria eredità culturale: nessuna frattura con quello che è stato, nessun calo di tensione, ma solo distillati di modernità che fanno bene agli occhi e alla mente.


GLI AUTORI
I pezzi firmati da designer storici come Piero Lissoni, Patricia Urquiola, Barber Osgerby, Nendo, Dimore Studio ed Elena Salmistraro sono posti in relazione con i lavori forti ed espressivi dei giovani Daisuke Kitagawa di Design for Industry e Hsiang Han Design. La scelta di questi nuovi autori dal Far East dimostra non solo la vocazione di talent scout di Giulio Cappellini, ma anche la capacità di indagare con attenzione la nuova creatività orientale e i suoi interpreti. L’infaticabile ricerca, però, attraversa i continenti, dal Middle East arrivano le due giovani donne Reem Olyan e Jumana Qasem di Rejo Design Studio con sede a Istanbul e Riyadh, che raccontano l’evoluzione del design in quei territori. Il loro prodotto, Red Bookcase, libreria con vani in legno tinto rosso con venatura a vista, esprime perfettamente, in forma brutalista, il retaggio storico del Medio Oriente, fatto di forme, colori accesi e fisicità.


LA SCENOGRAFIA
Ispirati dalla natura, dal suo rigore e dai suoi colori, i paesaggi creati nello spazio espositivo sono caratterizzati da tonalità neutre, così come i nuovi arredi d’autore, declinati principalmente in bianco, nero, grigio chiaro, cammello, sabbia. I set, completati da una stampa fotografica in black&white e da alcuni accessori cozy come tappeti, plaid e cuscini con stampa check, sono ravvivati da punteggiature di colore acceso, come il rosso, giallo, verde e vari toni di blu ispirati dalle opere di Paul Klee, che entrano nella scena con dettagli ornamentali o nello scenografico paravento a due ante realizzato in più cromie. Inoltre, un accenno floreale in questo arcipelago rinnova l’esigenza di sentire la casa come un luogo di protezione e bellezza. In occasione della 62ª edizione del Fuorisalone di Milano, lo Spazio Cappellini grazie alla collaborazione con Campogrande Concept, accoglie per la prima volta le installazioni di Elham M. Aghili, una giovane artista persiana che in pochi anni dall’inizio dei suoi studi è riuscita a portare le sue interpretazioni ibride e oniriche della natura in installazioni in Italia ed all’estero. Innamorata della natura immaginata e mitizzata cui si ispira costantemente nella sua ricerca, le sue opere, realizzate con tecniche di intreccio di scarto dei tessuti delle grandi maison d’alta moda, sono giardini ambigui i cui confini si confondono e sovrappongono. Un trionfo di fantasia e colore, un ponte tra vero e falso che conduce l’osservatore ad interrogarsi sull’evoluzione del nostro destino.

L’ARTISTA

Elham M. Aghili (Sassuolo 1989) è un’artista italiana di origini iraniane. Dopo un primo percorso scientifico, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove consegue la laurea triennale e la specialistica in Arti Visive – Decorazione. I suoi lavori sono stati selezionati per il la XV ed. del Premio Nazionale delle Arti a Sassari, per la Biennale Internazionale Contextile di Guimaraes (Portogallo), per il Valcellina Awards. Nel 2021 il suo lavoro “Hybrids” ha vinto l’Avant Young #safety Award promosso da Volvo Car Italia, Milano. Le sue opere sono nelle collezioni permanenti dell’Hub 19M a Parigi (Francia), nella Collezione d’Arte di Romagna Fiere, nella Collezione Civica Trame d’Autore di Chieri (TO) e di Fatti ad Arte a Biella. Tra le mostre personali recenti: “Fioritura in corso”, Presidio Ospedaliero Villa Bellombra, Bologna; “Il Giardino dell’anima”, Palazzo Ferrero, Biella; Pitti Immagine Filati per VIMAR1991, Fortezza da Basso, Firenze. Le partecipazioni a mostre collettive includono “Threads of our time”, The Gallery Space of Chelsea Market, NewYork, USA; “De Rerum Natura”, in occasione della Vernice della 59a edizione della Biennale d’Arte di Venezia, Circolo Ufficiali della Marina Militare, Arsenale, Venezia; “Risonanze”, Collezioni Comunali d’Arte, Palazzo d’Accursio, Bologna. Le sue opere sono state esposte nell’ambito di “The World Textile Arts 25WTA” per il Salone Italia in “Fiberstorming” a Bergamo Arte Fiera e Sala dell’Ex Ateneo a Bergamo, evento incluso in BG BS Capitali della Cultura 2023, e in “The soft Revolution”, Museo del Tessile di Busto Arsizio VA.

La ricerca di Elham M.Aghili si concentra sulla relazione tra l’essere umano, la natura e lo spazio che lo circonda, e prende forma attraverso il filo. Un elemento fluido e amorfo che però è solidamente radicato nelle origini persiane e il mestiere di famiglia dell’artista. Nei suoi intrecci flora e fauna si ibridano e si contaminano reciprocamente per dar vita a vivaci forme solide apparentemente riconoscibili ma dai confini sfocati. Una visione, quella di Aghili, che cerca un costante punto di incontro con il mondo, oggi caratterizzato da terrificanti cambiamenti climatici, pandemie globali, violenza, disuguaglianze ed atroci guerre. E denuncia l’orrore tentando di mettere in scena la bellezza creando ambienti ibridi, vivi, giocosi invasivi e talvolta immersivi. Come se il tempo si potesse fermare in un attimo a noi ignoto e fatale, in cui la vita si sovrappone alla sopravvivenza, lo stupore si sostituisce all’angoscia, e il cambiamento torna a far fiorire la bellezza.

“L’artista applica il suo talento e la sua attenzione alla sostenibilità e l’upcycling ad una tecnica rigorosa creando una natura parallela fatta di filati e di poesia. Figlia di due culture che trovano nelle opere di fiber art una straordinaria sintesi, le sue installazioni sono giardini ambigui i cui confini si confondono e sovrappongono. Coerentemente con la poetica dell’artista, le opere evocano molto più di ciò che svelano, in un gioco di allusioni e di rimandi tra realtà e illusione che ha nella percezione ingannevole dei nostri sensi la sua fonte di ispirazione e nella relazione tra la natura e l’umanità il suo territorio di esplorazione. Un lavoro che apre alla riflessione su cosa percepiamo come ‘natura’, quale sia il limite tra selvatico ed addomesticato, quale la distanza tra vero e verosimile, tra essere ed apparire. La ricerca di Aghili affonda le radici in una cultura millenaria in cui l’ambiente che ci circonda non raramente diventa proiezione dell’interiorità e, per estensione, il giardino traslato del mondo. Sperimentando tecniche e materiali, intrecciando filati, l’artista trasforma un elemento fluido e morbido in grandi installazioni, restituendoci porzioni di giardini tessili in cui la natura è declinata secondo uno studio accurato delle sue forme non meno che delle innumerevoli connessioni con il sapere e il sentire umano – dalla botanica al paesaggismo, dalla filosofia alle neuroscienze – e ricostruita in maniera dettagliata e artificiosamente calcolata per condurre l’osservatore al significato ultimo di termini quali artificiale e naturale. L’artista crea un ponte tra vero e falso, l’istante cristallizzato di una trasformazione che è inesorabile e continua e che si interroga sull’evoluzione del nostro destino.” (dal testo critico di Barbara Pavan)

IL GIARDINO CAPOVOLTO

Mai quanto oggi un giardino capovolto potrebbe diventare metafora di un mondo caratterizzato da cambiamenti climatici, atroci guerre, reduce e sempre in attesa di pandemie globali. Una natura che si aggrappa a qualsiasi possibilità per reclamare il suo diritto di sopravvivenza.

Il giardino capovolto di Elham M.Aghili che si materializza grazie ad un intreccio di filati di scarto, “conduce lo sguardo del fruitore attraverso la superficie visibile del mondo, nella meraviglia della natura invisibile agli occhi ma che consente la vita su questo pianeta. Emanuele Coccia nel suo “La vita delle piante” scrive che le radici fanno del suolo e del mondo sotterraneo uno spazio di comunicazione. La parte più solida della terra si trasforma allora, grazie a esse, in un immenso cervello planetario, dove circolano non solo le materie ma anche le informazioni sull’identità e sullo stato degli organismi che popolano l’ambiente circostante.*

Il mondo sotterraneo è una galassia misteriosa che ha ispirato un’immensa letteratura fantastica in cui si è immaginato trovasse posto nelle viscere della terra, di volta in volta, un universo a specchio, un ambiente alieno, uno spazio/tempo parallelo. Aghili innesta la sua ricerca in questo immaginario altro e costruisce reverso sopra di noi il suolo su cui camminiamo innescando uno spaesamento che apre un’ampia riflessione su tutta la bellezza sconosciuta che l’essere umano ferisce e distrugge senza averne piena consapevolezza semplicemente perché estranea al suo campo visivo, perché incapace di posarvi lo sguardo oppure perché essa è nascosta, custodita nelle infinite pieghe della natura là dove la superficiale attenzione della contemporaneità non vede che terra.” (Testo critico di Barbara Pavan)


HYBRIDS

Hybrids, è un giardino ambiguo in bilico tra il vero e il verosimile i cui confini si confondono e sovrappongono, erede di quel paradiso di etimologia persiana – un altrove favoleggiato, immaginato, mitizzato e forse mai davvero raggiungibile – che non esiste (più) e, allo stesso tempo, ipotesi di un’entità che in natura non esiste (ancora). Un elemento altro a cui l’artista da forma trasformando oggetti di recupero di uso quotidiano attraverso una lavorazione certosina di filati, a loro volta recuperati da scarti ed errori di produzione dell’azienda che glieli fornisce. Il risultato mantiene l’estetica visiva che ci è familiare attraverso la rappresentazione di molte caratteristiche peculiari delle specie ma che si configura più come la narrazione di un processo in fieri che come una condizione statica, metafora dell’equilibrio precario dei fenomeni che non è mai definitivo e permanente, ma perennemente mutevole e che necessita dunque di una costante ricerca.” (dal testo critico di Barbara Pavan)

*Emanuele Coccia, LA VITA DELLE PIANTE – Il Mulino, Bologna , trad.Silvia Prearo, rivista dall’autore, anno 2018, pag 101

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