Attraversare – seppur idealmente – la linea di accesso alla pratica artistica di Sonia Piscicelli, in arte IZN, mi costringe ad abbandonare uno schema di pensiero che mi appartiene: il primo requisito per leggere il suo lavoro e comprendere la sua ricerca è infatti, secondo me, quello di sospendere ogni giudizio e pregiudizio per aprirsi all’ascolto più che all’osservazione. Una volta ammessi in questa sorta di universo parallelo cucito – è il caso di dirlo – a misura e dimensione dell’artista, inizia un’esplorazione che strato dopo strato rivela il peso specifico di ogni punto di ricamo. Sono piccole opere le sue fitte di simboli e significati: ogni dettaglio è denso, evocativo, allusivo ad un’esperienza, un’idea, una riflessione che conduce lontano dal punto di partenza attraverso innumerevoli percorsi – uno o più per ogni osservatore. Ogni lavoro è un dialogo intimo e segreto tra l’artista e l’ascoltatore, ad ognuno racconta una storia che è personale, solo sua, eppure condivisa, collettiva, universale.
Tempo, Memoria, Coscienza: Sonia si muove sul confine tra le umane connessioni e i territori sconosciuti dell’invisibile, ne esplora le forme attraverso uno sguardo che definirei dell’alba, quando cioé la luce ancora incerta svela il mondo un particolare alla volta, restituendone lentamente i contorni in una continua scoperta che si rinnova, sempre diversa eppure sempre uguale a sé stessa, giorno dopo giorno. A questo risponde e corrisponde l’ascolto del tramonto, quell’ora in cui le ombre intorno si allungano e si addensano e orfani della luce esteriore, complice il silenzio della notte che si avvicina, liberati dalla menzogna e nutriti di una nuova consapevolezza, ci si ritrova e riconosce nel riflesso dello specchio interiore.

Io: Intanto: Sonia Piscicelli o IZN? E chi è l’una, chi l’altra?
IZN: Mio padre apparteneva a una famiglia benestante di antica nobiltà napoletana, mia madre era di più umili origini. Porto il cognome di mio padre perché io e i miei fratelli siamo stati riconosciuti, ma non abbiamo mai vissuto tutti insieme come una famiglia tradizionale; forse è per questo che non mi sono mai sentita rappresentata dal mio nome e cognome. Questo senso di non appartenenza a un gruppo o una classe sociale precisa, unito a un’altalena continua di benessere e difficoltà, tanto economica quanto emotiva, mi ha fatto crescere senza punti di riferimento.
Quando nel 1994 ho lavorato sulla mia tesi allo IED (istituto Europeo di Design) di Roma, che trattava delle nuove frontiere digitali che si stavano affacciando in quel momento e della cultura cyberpunk, intitolandola “Interzona, analisi di un nuovo modo di organizzazione del sapere e degli scambi intellettuali”, mi sono riconosciuta pienamente nel termine “interzona”, ispirato al film di Burroughs “il pasto nudo”, che ho inteso come una zona franca non soggetta alle regole del mondo comune, dove ogni cosa potesse accadere, e ho cominciato a firmarmi izn, che è la contrazione di questo termine. Ho poi chiamato interzona il mio studio grafico, e ho firmato come izn, cioè interzona, tutto ciò che ho fatto in seguito, non solo nel campo dell’arte.
Quindi sicuramente izn, che esprime ciò che sento di essere realmente, non ciò che altri vorrebbero o avrebbero voluto che fossi.

ricamo a mano, filo di cotone biologico su garza di cotone cucita su sparato di una camicia da smoking, provette di vetro, 11×15 cm, 2021
Io: Perché hai scelto proprio il ricamo come medium espressivo?
IZN: Negli anni ho dipinto a olio, lavorato con la ceramica e il fil di ferro, disegnato con tutti i media possibili, creato vari art e collage book, ho fatto montaggi fotografici, scritto racconti. Ognuna di queste pratiche mi ha insegnato qualcosa, ma nessuna di esse mi ha mai fatto sentire al centro della mia vita come quando ho tra le dita l’ago che passa nel tessuto e crea un disegno. Magari aver avuto una bisnonna e una nonna sarte mi ha in qualche modo resa geneticamente affine agli strumenti da cucito, e avrei dovuto capirlo nel 2005, quando per la prima volta all’inaugurazione di una galleria nella ex Berlino est, vidi l’opera di un’embroidery artist, e ne rimasi molto colpita.
Verso la fine del 2017 inciampai su alcune artiste del ricamo su Pinterest: Junko Oki, Rosie James (diversissime tra loro), Lisa Smirnova, che ha uno stile più “pieno” rispetto a quello sottile e trasparente che sento più vicino a me, furono le prime a ispirarmi.
Quel germe che covava in me venne fuori potentissimo; di punto in bianco abbandonai tutte le mie attività e da allora non faccio altro che ricamare, ogni singolo giorno, a tempo pieno; è stato come un colpo di fulmine, un po’ ritardato.
Di questa modalità espressiva adoro la possibilità di correggere ogni singolo punto, anche fino a tornare alla tabula rasa; la lentezza con la quale posso lavorare, che per una persona riflessiva come me è puro ossigeno. Il poter lavorare ovunque: ho ricamato in treno, al mare, in viaggio; la possibilità che mi dà di creare dei rituali che ruotano attorno al lavoro, come il fatto di lavare i ricami in progress, anche più volte, ed esporli poi al sole, al vento, all’energia vitale che circola all’esterno; il profumo di pepe che hanno i tessuti lavati senza prodotti sintetici; e soprattutto, aspetto che per me è estremamente importante, il poter creare qualcosa che sia completamente sostenibile, a impatto zero per l’ambiente.
Utilizzo solo tessuti naturali provenienti da vecchi corredi e fili di recupero, e rocchetti di legno con fili di cotone biologico tinti con colori organici. In una serie di opere che sto ampliando ultimamente, gli Arcipelaghi, sto usando ferro chelato per le piante o tè nero biologico per tingere il tessuto, che di partenza è sempre bianco. Per le scatole uso oggetti di recupero di ogni tipo, con preferenza verso materiali biodegradabili, precedenti all’arrivo della plastica, colla da calzolaio, coccoina, colori meno inquinanti possibile.

(particolare) ricamo a mano, filo di cotone biologico su ritaglio di lenzuolo di lino, colorato con ferro chelato, 45×52 cm, 2020
Io: La scatola è un elemento ricorrente nella tua pratica artistica. Cosa significa per te e cosa veicola nelle tue opere?
IZN: Dopo aver creato i primi ricami ho sentito il bisogno di dar loro un luogo privato, tranquillo, un grembo materno dove riposare. Le scatole sono l’elemento giocoso, bambinesco, dell’opera. Alcune vanno semplicemente aperte, altre sono rivestite di oggetti e spesso di altre scatoline, ognuna delle quali contiene altri indizi sul significato dell’opera. Si può dire che il ricamo sia il protagonista della storia, la scatola il racconto, l’esperienza, che offre nuovi punti di vista e spunti di riflessione che possono essere molto personali. Per quanto mi riguarda le due cose possono vivere insieme o separate, perché ognuna di esse ha un suo proprio linguaggio.

assemblaggio; scatola di cartone, disegno a gesso, albume, corona di filo di rame argentato, stampo di vetro, semi di oleandro, rosetta di annaffiatoio, bocciolo di rosa, muschio, corteccia, mattonella di argilla dipinta a mano, fiore di legno giocattolo, 2018

assemblaggio; portapennelli cinese, legno di corbezzolo, listelli di legno dipinti a olio, astucci di caramelle, semi di fiori melliferi e di piante, pompette di gomma per contagocce, specchietto, foglie secche, monete cinesi, 2021
Io: Come comincia una tua opera?
IZN: I miei inizi sono sempre veicolati da uno stimolo visivo; un’illustrazione, una scultura, un’incisione, un dipinto, un ricamo, uno scatto fotografico, un film, cose realizzate da altri, ho bisogno degli altri per creare, sento una forte connessione con gli altri artisti, mi piace attingere a un’energia comune, che ha bisogno di fluire e non essere mai bloccata. Amo ispirarmi, ovviamente reinterpretando, e amo che ciò che faccio sia di ispirazione e venga reinterpretato. Credo che l’arte non dovrebbe conoscere paure o limiti.
Una volta finito il disegno a matita sul tessuto, ago e filo lo seguono o se ne discostano quasi come se io diventassi un mezzo inerte nelle mani dell’energia, che guida la mia mano come la scrittura automatica. Spesso il disegno cambia completamente e aggiungo o modifico particolari a matita o sfilo parte del ricamo. Il significato di ciò che ne deriva viene fuori durante, e a volte dopo, il lavoro. Quasi come se il ricamo mi mettesse di fronte ciò che non riuscivo a vedere.

progress, ricamo a mano, filo di cotone vintage su ritaglio di camicia da notte di cotone, ritaglio di lenzuolo di lino colorato con ferro chelato, 30×30 cm, 2023
Io: Dal consumo consapevole al ricamo, il tempo – soprattutto il recupero di una lentezza che non appartiene alla contemporaneità – sembra essere un elemento fondamentale della tua ricerca. Mi racconti che rapporto hai con il tempo e come rientra tra i fattori che influenzano il tuo lavoro e la tua vita?
IZN: Sono nata a Napoli e ci ho vissuto i primi diciott’anni della mia esistenza; è lì che ho assorbito per osmosi la rassicurante lentezza che per me è un vero e proprio salvavita. Per un lungo periodo, iniziato quando ho vissuto in Alto Adige per qualche tempo, sono stata indotta a ripudiare questo mood, che ho recuperato con mio enorme giovamento dopo alcuni anni. Col senno di poi ho capito che rallentando è possibile affrontare qualunque ostacolo serenamente.
Questo influenza profondamente la mia vita, in primis perché trovo difficilmente riscontro nella società odierna e nelle persone, alle quali spesso faccio un effetto stremante, come un’abitante di un altro pianeta. E credo sia anche il motivo per cui il rapporto tra me e il dipingere a olio non ha mai funzionato. Il ricamo non solo si adatta ai miei ritmi e mi attende con pazienza, ma quasi mi chiede di lavorare rispettando il ritmo naturale del sorgere e del tramontare del sole.
Mi rendo conto di vivere in uno spazio tempo diverso rispetto a quello corrente, ma alla fine amo confrontarmi con ritmi anche veloci, lavoro bene sotto pressione e in gruppo. Sempre se però mi sento libera di tornare nel mio mondo lento quandunque ne senta il bisogno, cosa che può avvenire repentinamente.

progress, ricamo a mano, filo di cotone biologico e filo di cotone vintage su ritaglio di lenzuolo di lino, 122×109, 2020

Io: Cos’è la memoria, Sonia, e che ruolo ha nella tua ricerca?
IZN: Possiedo una fortissima memoria olfattiva, una buona memoria visiva e purtroppo una labile e selettiva memoria a lungo termine, che spesso rimuovo a blocchi.
Credo che la memoria sia quanto di più prezioso possediamo ai fini della nostra sopravvivenza ed evoluzione e che sia importantissimo, soprattutto in questo momento storico, difenderla a spada tratta e tramandarla ai nostri successori, sia per quanto riguarda le mere conoscenze come le cure naturali, la cucina tradizionale e le tradizioni in genere, che la memoria familiare e atavica, che proprio in questo momento della mia vita sto esplorando attraverso le costellazioni familiari. Spesso figli e nipoti non conoscono la storia dei propri genitori, nonni, bisnonni; lo trovo assurdo e pericoloso.
La memoria è anche uno dei motivi per cui ho scelto di trasferirmi in campagna, dove posso tra le altre cose frequentare quelle persone anziane che hanno mantenuto retaggi che adesso vengono considerate amenità, come l’influenza delle fasi lunari su tanti aspetti della vita quotidiana, la qualità dell’artigianato e la bellezza di aggiustare e recuperare invece di buttare e ricomprare, il peso della parola data, e l’importanza di valori come coerenza, coraggio, rispetto, che adesso paiono fuori moda.

progress, ricamo a mano, filo di cotone biologico su due strisce di ritaglio di federa di lino vintage, 56×2 cm, 2022
Io: Quale rapporto si instaura secondo te tra te e il fruitore attraverso le tue opere?
IZN: Ho questa idea che chi possieda uno dei miei ricami non debba necessariamente esporlo nella sua casa o altrove, ma possa scegliere se mostrarlo o tenerlo in uno scrigno dal quale tirarlo fuori in segreto, come un oggetto magico privato, ogni volta inaspettato, intriso di magia. Mi piacerebbe che i ricami andassero a persone comuni, per la propria gioia, o a collezionisti folli come il cappellaio matto, che li userebbe al bisogno per asciugare il tè caduto dalla tazza.
Inizialmente vedevo le mie opere come specchi, nei quali ognuno riflettesse se stesso, le sue proprie emozioni. Adesso invece le vedo più come racconti, o come delle bolle di energia, dei buchi spazio-temporali nei quali perdersi per qualche minuto, quando si ha bisogno di una conferma che la vita non è solo ciò che vediamo, e che è necessario non aver paura della paura, abbandonare il controllo, affidarsi al fluire dell’energia universale.



in progress, ricamo a mano, filo di cotone vintage su panno di lino per mestruazioni, 49×49 cm, 2022; 3. Alleanza, in progress, ricamo a mano, filo di cotone vintage su panno di lino per mestruazioni, gatto, 49×49 cm, 2022
Io: L’opera o il corpus di opere che maggiormente sono parti di te? Quella da cui non ti separeresti mai?
IZN: Non ho mai avuto un senso di possesso per ciò che creo, anzi dopo qualche tempo sento il bisogno che le opere vadano nel mondo, le vedo un po’ come figli ai quali vanno donate ali e lasciati liberi. Dopo un po’ quasi dimentico ciò che ho fatto, salvo provare una grande gioia quando le rivedo, e quasi non le riconosco come mie.
Al momento mi è molto cara un’opera che parla di mia madre, diversa da tutte le altre perché è composta da 21 piccoli ricami raffiguranti dei pesci, sfuggenti, enigmatici e affascinanti come lei, contenuti ognuno in una provetta di vetro racchiusa da un tappo sormontato da vertebre di pesce colorate di nero. Tutto ciò poi ulteriormente racchiuso in una scatola rivestita di oggetti “parlanti”. É più contorta, complicata e personale rispetto alle altre, forse più spostata sull’assemblage art che sul ricamo. È un’opera che parla della lotta contro la malattia mentale e di quanto questa possa essere subdola e straniante.

assemblaggio; scatola di latta, spazzola, corteccia, legno portato dal mare, 2019
Io: Quanto sono compenetrate per te l’arte e la vita?
IZN: Totalmente, sono fuse insieme. Arte è vita e vita è arte, i problemi che ho nascono proprio dal mio non chiudere le due cose in compartimenti stagni; ad esempio come grafico sono sempre stata definita troppo “artistica”; nelle amicizie e negli affetti sono troppo diretta e coerente e trasparente.

progress, ricamo a mano, filo di cotone biologico su strofinaccio di cotone, 88×85 cm, 2019
Io: L’arte è catartica?
IZN: Da che mi ricordi ho sempre avuto una forte tensione interiore che mi ha regalato una creatività inesauribile, inusitata, alla quale so che non potrò mai dare fondo nell’arco di una sola vita. Ma è molto difficile per me tradurre in un linguaggio comprensibile la tempesta di emozioni che mi arrivano come un groviglio indistricabile. e solo con l’arte mi pare di riuscire a sciogliere i nodi nei quali sono avviluppata. Fosse per me eleggerei l’arte a presidio medico universale.

in progress, ricamo a mano, filo di cotone biologico su ritaglio di sudario di lino, 43×46 cm, 2021
Io: Cosa c’è sulla linea del tuo orizzonte artistico – progetti, sogni, speranze?
IZN: Personalmente sto già facendo esattamente ciò che vorrei; il mio obiettivo pratico al momento è trovare un luogo molto luminoso, che in un mondo perfetto sarebbe una serra, dove lavorare e sistemare tutte le mie opere, i libri d’arte, gli oggetti per l’assemblage art, le scatole, i tessuti, i fili.
In senso più largo il mio sogno è che l’arte venga acquistata da persone qualsiasi, non per arredamento o investimento ma solo per la gioia di averla per sé. Covo pure la speranza che l’arte venga vista anche in Italia come un lavoro e non come un hobby. Quest’ultima distorsione è diffusissima e desolante, non solo per gli artisti ma per la cultura e l’aspetto sociale in genere.

particolare, ricamo a mano, filo di cotone biologico su strofinaccio di cotone, colorato con ferro chelato, 66×30 cm, 2020
Chi è IZN
Izn nasce a Napoli nel 1968 e si forma come Art Director e Graphic Designer allo IED con una tesi sperimentale dal titolo Interzona – analisi di un nuovo modo di organizzazione del sapere e degli scambi intellettuali su cyberpunk, cd-rom, hackeraggio, realtà virtuale.
Lavora a Roma in varie agenzie prima di iniziare una carriera da freelance (come interzona) principalmente in ambito artistico nei settori del web design, della fotografia e della pittura, realizzando anche scenografie e alcuni progetti sperimentali e seguendo in particolare l’immagine grafica di una compagnia di hip-hop. Nel 2003 partecipa alla collettiva “Intruders” a Roma, ideata da Riccardo Znidarcic, presso gli spazi privati di un noto collezionista di autori storici, insieme a Lidia Bachis, Barbara Barbantini, Matteo Bosi e Marina Brasili, e alla collettiva “States of body and mind”, nella Galleria Perform Arte Contemporanea a La Spezia, curata da Enrico Formica, insieme a Luca D’Altri e a Monika Grycko. Nel 2006 partecipa alla collettiva “PopArty”, a Villa Palazzetti a Roma. Il suo percorso formativo include la pittura a olio, la modellazione ceramica e la tecnica Raku, il collage fotografico di grande formato, l’assemblage art e la creazione di collage art book, prima di approdare definitivamente all’embroidery art nel 2018. Nel 2023 una sua opera è inclusa nella mostra internazionale “Appunti su questo tempo” a CasermArcheologica di Sansepolcro.



*Foto di copertina: Chi nascerà pesciano, assemblaggio; scatola di cartone rivestita, provette di vetro tappi di sughero, vertebre di pesce, ciondolo di metallo, vasetto di vetro, cucchiaino di legno, pietra, rami di rosa, numero di tombola, chiave, filo di ferro, presa multipla elettrica, ritaglio di scatola di cartone, anno 2022