Sperimentatrice di tecniche e materiali, Caterina Ciuffetelli più che in dialogo con la materia, si pone in ascolto, dando forma e voce al significato sotteso, nascosto, intrinseco delle cose. Di questo e di molto altro abbiamo chiacchierato in questa intervista alla scoperta della sua ricerca artistica e dei suoi progetti.

Io: Il tuo è un lungo percorso artistico che è infine approdato all’uso delle fibre e del cucito. Come sei arrivata a sperimentare il medium tessile?
CC: Agli albori della mia consapevolezza artistica ho avuto la fortuna di frequentare lo studio di Umbro Battaglini importante artista che ha operato per tutta la seconda metà del novecento nell’ambito della scultura, dell’architettura e della grafica. È stato un esponente del concettualismo e del razionalismo architettonico.
L’incontro si è rivelato determinante nella mia formazione: la mia autodisciplina, il rigore e, nello stesso tempo, la libertà assoluta rispetto all’uso dei materiali e delle tecniche mi derivano dalla sua attenta e severa lezione.
Ho cominciato a lavorare come artista usando le tecniche canoniche per poi utilizzare gesso, intonaco, cellotex, sabbia, alluminio e, ultimamente, filo e stoffa.
Sono quindi arrivata al cucito dando seguito ad un processo naturale di curiosità rispetto ai materiali e di un uso alternativo di mezzi altrimenti vissuti come l’ago e la capacità del cucire.
Nella mia biografia la condizione di figlia di sarta ha fatto sì che cucire, ricamare, saper distinguere la natura dei filati delle stoffe apparisse presto come un’eredità acquisita tacitamente.
Decidere l’uso di queste capacità si è rivelato una piacevole epifania nel mio percorso artistico: la duttilità della stoffa sposata alla fragilità della carta, con la complicità del collante e dell’acqua, mi hanno dato una risposta ancor prima poetica che strumentale. Sulle superfici ottenute, il filo, guidato dall’ago, mi permette di tracciare le linee geometriche che servono ad esplicitare i miei concetti.

Io: Che cosa significa per te cucire e quale il valore della cucitura in ambito artistico (e non solo)?
CC: Il filo per me ha soprattutto un significato concettuale molto potente, è il legame, il ponte, la costruzione. Unisce le parti, ricostituisce un intero laddove questo si è spezzato o lacerato, riedita ciò che è stato persino scartato; il filo raccorda. È sorprendentemente uno strumento di pace.
La cucitura è, altresì, una strada e come tale implica una provenienza ed un arrivo, quindi ha in sé il concetto del cambiamento e dell’evoluzione. Il filo, attraverso la cucitura, indaga lo spazio e lo qualifica. Lo denota dandogli cittadinanza di senso.

Io: Quale rapporto c’è tra materia e segno nei tuoi lavori?
CC: Nei miei lavori il rapporto tra materia e segno è strettissimo, sostanziale. Della materia non mi interessa la fisicità in quanto tale, questa semmai rimane sullo sfondo, il tentativo piuttosto è darle voce, farla “parlare”.
È un’operazione di maieutica che prende avvio dall’inerzia della materia fino al logos del segno. Nella fattispecie della cucitura, a differenza del segno grafico della grafite o del colore, questa mi assicura la rilevanza tridimensionale perché anche il filo è materico.

Io: Come nascono i tuoi lavori – quali sono le fonti di ispirazione e come arrivi dall’idea all’opera finita, come scegli i materiali e le tecniche?
CC: Non sempre i miei lavori nascono da un’idea, da un progetto ma molto spesso da un incontro con il materiale. Cerco carte precedentemente trattate e lasciate in un angolo, stoffe dimenticate in cassapanche, materiali reperiti sulla spiaggia o nei laboratori dei falegnami. Ponendomi di fronte al materiale è esso stesso che mi suggerisce, mi sollecita una visione. L’idea c’è, è dentro le cose, devo riuscire, con i sensi e l’intuito all’erta, a vederla. Mi è capitato che, in certe circostanze, di fronte a dei materiali che restavano muti, io dovessi aspettare anni prima di individuare la visione sottesa!
Per la scelta della tecnica il compito è facilitato dall’esperienza, la scelgo in base alla rilevanza formale di cui ha bisogno il lavoro.
Sta a me capire quello di cui esso ha bisogno. Tutto deve rispondere ad una necessità, non c’è spazio per orpelli o voli pindarici. Semmai, laddove io riesca, la poesia deve scaturire dalla composizione.
Il mio processo passa attraverso il confronto del caos della materia con le “forze” proprie della composizione (le diagonali, le mediane, il centro, il peso, la lunghezza, lo spessore, il colore), ciò crea il pattern che porterà a compimento l’opera.
È questo che lascia lo spazio allo stupore, in primis quello dell’artista.

Io: I lavori recenti trasformano le geometrie in alfabeto, una sorta di linguaggio arcaico e
aperto all’interpretazione del fruitore. Mi racconti ALPHABET?
CC: Nel 2019 ho realizzato una serie di opere dove l’uso di una scrittura completamente
indipendente da un significato semiologico ha dato vita al ciclo ASEMIC.
Il termine asemico indica una parola o una frase “senza nessuno specifico contenuto semantico”. La natura aperta delle opere asemiche permette al significato di presentarsi prima e al di là del linguaggio.
Questo mi dà modo di dire senza dire, ovvero di dire senza rivelare, mantenendo celato il mistero del significato. Offrendo una mancanza, la mia vuole essere una sollecitazione e una possibilità. L’osservatore, colmando il vuoto di senso, contribuisce a completare l’opera aggiungendo il proprio personale significato.
In ALPHABET, libro d’artista che mi è stato commissionato dall’Archivio di Comunicazione Visiva e Libri d’Artista di San Cataldo (CL), ho ritenuto ancor più stimolante l’uso del linguaggio asemico proprio perchè in rapporto all’oggetto libro.

Io: Qual è, secondo te, il ruolo dell’arte e dell’artista in tempi di pandemia e di lockdown? Come hanno influito gli eventi di quest’ultimo anno sul tuo lavoro?
CC: La pandemia ha posto ognuno di noi di fronte ad un grande sconcerto, angoscia, dolore inimmaginabili in questo momento storico del mondo occidentale ed anche alla penosa constatazione che proprio il modus vivendi di tale nostro mondo, ha prodotto questo spettrale scenario. Ci ha obbligato a porci di fronte a domande complessissime alle quali stentiamo a dare risposte convincenti o almeno rassicuranti.
La reazione degli artisti è stata molto personale e diversificata.
Nel mio caso, ho risposto col lavoro. Ho cercato di non cedere alla tentazione della depressione conseguente alla mancanza di scambi, di mostre e di occasioni.
Ho la fortuna di vivere in periferia in una casa con molto spazio interno ed esterno, con un pezzo di terra con alberi da frutto popolati da uccelli chiassosi. Tutto ciò si è rivelato una preziosa risorsa, specie in tempi di lock-down. Amo il silenzio e non disdegno la solitudine, la sospensione temporanea della vita ha favorito questa mia inclinazione. Ho risposto “legando” i pezzi, cucendoli insieme. È questo il senso di usare necessariamente pezzi di stoffa o stralci di carta, monconi di lavoro, nuovi o recuperati dal passato è stato indifferente, e unirli con cuciture nuove, fortemente simboliche.
L’uso della stoffa si è dimostrato ancor più stimolante, usata in associazione alla carta e all’uso dell’ago e del filo, e ciò ha dato la nascita alla serie RITAGLIARE LUNGO LA LINEA TRATTEGGIATA. Alla luce del lock-down la mia sembra piuttosto un’operazione di riparazione: laddove il tessuto sociale, umano, economico sembra sfilacciarsi io provo ad usare le cuciture per ricostituire i ponti e i legami.

Io: Quali sono i progetti in cantiere – se ci sono – e quali i tuoi sogni nel cassetto?
CC: I progetti in cantiere sono legati inevitabilmente alla situazione di pandemia perché, avendo questa bloccato molte iniziative, si dovrà cercare di ridare loro una nuova possibilità.
Ne cito alcune, già programmate: la mostra del Libro d’Artista a cura di Calogero Barba a Palermo, la collettiva Se tutto è Arte a cura di Roberto Gramiccia, svoltasi a Roma ma che sarebbe divenuta itinerante in diverse città italiane, Segni Permanenti – testimonianza della violenza sulle donne a cura di Pina Della Rossa a Napoli, Artisti per Alina a cura di Sanda Sudor inaugurata a Spoleto.
E, per quello che riguarda le nuove mostre, parteciperò a Rome Art Week 2021 a cura di Roberta Melasecca e Fabio Milani a Roma; a Raggi D’Ulivo #2 – Le Tendenze attualizzanti The Actualizing Tendencies a cura di Virginia Ryan, del Centro d’Arte Trebisonda di Perugia e di FreeMocco Edizioni, a Trevi (PG) ed altre ancora delle quali si devono definire i dettagli.
Riferendomi ad uno dei miei sogni nel cassetto, uno che ho molto a cuore: allestire una
mostra personale nella mia città d’origine, L’Aquila.

Chi è Caterina Ciuffetelli
Caterina Ciuffetelli nata a L’Aquila, vive e lavora in Umbria. Il suo percorso artistico parte dalla pittura dal vero e prosegue nella ricerca astratta. La ricerca non figurativa ha inizio nel 1988. Si è avvalsa da allora di diversi medium, dai più tradizionali quali la pittura, i pastelli, la terra rossa, la carta fino al cellotex, alla sabbia, all’intonaco, all’alluminio, alla corda, alla stoffa.
L’estetica e l’etica sono presupposti inscindibili del suo agire artistico, tali premesse si articolano in una ricerca di senso attraverso innumerevoli cicli di lavori, tra i quali PRIMARY COLORS, WAVE, SEQUENCE, FOULE, LANGAGE, OGGETTI ED ALTRI RACCONTI, RESIST fino a PRE-HISTORIC, DIAGRAM e MOSAIC.
Sue opere sono presenti in collezioni private ed istituzioni pubbliche.

Contatti
http://www.caterinaciuffetelli.it
